Gandhi: lettere a Hitler

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Il 23 luglio del 1939 Gandhi scrisse la prima lettera a Hitler. Non giunse mai a destinazione perché il governo indiano la bloccò nel timore che potesse compromettere i rapporti diplomatici con la Germania.

Qualche mese dopo, del resto, Gandhi aveva risposto sconsolato ad un lettore che lo incitava a rivolgersi a Hitler: “Può essere insensato il mio appello a Hitler perché adotti la non-violenza. Sta marciando di vittoria in vittoria” (Collected Works of Mahatma Gandhi, vol. 79, p. 11).

Alla vigilia di Natale del 1940 Gandhi scrisse la sua seconda lettera ad Hitler nella quale si fa riferimento anche a Mussolini. Anche questa seconda lettera fu bloccata dal governo indiano. Non è da credere, del resto, che le due lettere di Gandhi avrebbero potuto sortire un qualche effetto sul Führer.

La speranza di poter cambiare il corso della storia, o anche solo di ottenere una semplice, breve tregua, con un semplice appello umanitario, se appare da un lato inevitabilmente viziata da ingenuità, ad un attenta riflessione potrebbe essere guidata forse da un impulso più profondo, quello di dialogare con “l’animale feroce” che sta divorando l’Europa.

E quello stesso animale è dentro ognuno di noi. Gandhi si rivolge a Hitler chiamandolo amico, rivolgendosi a lui non come ad un mostro ma come ad un individuo che ha le sue ragioni, i suoi obbiettivi, il suo punto di vista. Non giudica mai Hitler, ma le sue azioni mettendole, tra l’altro, in continuità con quelle dell’impero britannico.

Queste lettere rapprsentano un esempio concreto di “comunicazione non violenta” e ci indicano una strada possibile per entrare in contatto con le nostre parti feroci, imperialiste, grandiose e megalomani.

Dunque possiamo prendere in mano carta e penna e scrivere al Führer. Probabilmente non risponderà o forse la lettera non arriverà nemmeno a destinazione (nella realtà la censura era stata attuata proprio dal governo indiano che temeva qualche problema diplomatico) ma potrebbe essere un interessante occasione per conoscere meglio il nostro dittatore interno, come opera, quali sono le sue strategie e i suoi obbiettivi nella nostra vita, quali sono le ombre che produce e soprattutto le conseguenze delle sue azioni.

Potremmo scoprire che in fondo ha le sue ragioni e già conoscendolo meglio, senza avere nemmeno l’ambizione di cambiarlo, potremmo avere meno paura e sentirci pervasi da una gradevole vitalità.

 Gianluca Minella

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23 luglio del 1939

Her Hitler
Berlin, Germany
 
Caro amico,
alcuni amici mi hanno chiesto con insistenza di scriverle una lettera per il bene dell’umanità. Io ho resistito alla richiesta, a causa della sensazione che qualunque lettera da parte mia sarebbe stata interpretata come un atto di impertinenza.
 
Tuttavia, qualcosa mi spinge a fare lo stesso un tentativo, qualunque valore esso possa avere. E’ evidente che lei oggi è l’unica persona al mondo che possa scongiurare una guerra che potrebbe riportare l’umanità ad uno stato selvaggio. E’ disposto a pagare questo prezzo per raggiungere il suo obiettivo, qualunque valore questo obiettivo possa avere per lei? Ascolterà l’appello di uno che ha deliberatamente rinnegato il metodo della guerra, non senza considerevoli risultati?
 
In ogni caso le anticipo le mie scuse se in qualche modo ho sbagliato decidendo di scriverle.
Sinceramente vostro,
M. K. Gandhi

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24 dicembre 1940
 
Her Hitler
Berlin, Germany

Caro amico,

se vi chiamo amico, non è per formalismo. Io non ho nemici. Il lavoro della mia vita da più di trentacinque anni è stato quello di assicurarmi l’amicizia di tutta l’umanità, senza distinzione di razza, di colore o di credo. Spero che avrete il tempo e la voglia di sapere come una parte importante dell’umanità che vive sotto l’influenza di questa dottrina di amicizia universale considera le vostre azioni. Non dubitiamo della vostra bravura e dell’amore che nutrite per la vostra patria e non crediamo che siate il mostro descritto dai vostri avversari. Ma i vostri scritti e le vostre dichiarazioni, come quelli dei vostri amici e ammiratori, non permettono di dubitare che molti dei vostri atti siano mostruosi e che attentino alla dignità umana, soprattutto nel giudizio di chi, come me, crede all’amicizia universale. È stato così con la vostra umiliazione della Cecoslovacchia, col rapimento della Polonia e l’assorbimento della Danimarca. Sono consapevole del fatto che, secondo la vostra concezione della vita, quelle spoliazioni sono atti lodevoli.

Ma noi abbiamo imparato sin dall’infanzia a considerarli come atti che degradno l’umanità. In tal modo non possiamo augurarci il successo delle vostre armi. Ma la nostra posizione è unica. Noi resistiamo all’imperialismo britannico quanto al nazismo. Se vi è una differenza, è una differenza di grado. Un quinto della razza umana è stato posto sotto lo stivale britannico con mezzi inaccettabili. La nostra resistenza a questa oppressione non significa che noi vogliamo del male al popolo britannico. Noi cerchiamo di convertirlo, non di batterlo sul campo di battaglia. La nostra rivolta contro il dominio britannico è fatta senza armi. Ma che noi si riesca a convertire o meno i britannici, siamo comunque decisi a rendere il loro dominio impossibile con la non cooperazione non violenta. Si tratta di un metodo invincibile per sua natura.

Si basa sul fatto che nessun sfruttatore potrà mai raggiungere il suo scopo senza un minimo di collaborazione, volontaria o forzata, da parte della vittima, I nostri padroni possono possedere le nostre terre e i nostri corpi, ma non le nostre anime. Essi non possono possedere queste ultime che sterminando tutti gli indiani, uomini, donne e bambini. E’ vero che tutti non possono elevarsi a tale grado di eroismo e che la foza può disperdere la rivolta, ma non è questa la questione. Perché se sarà posibile trovare in India un numero conveniente di uomini e di donne pronti, senza alcuna animosità verso gli sfruttatori a sacrificare la loro vita piuttosto che piegare il ginocchio di fronte a loro, queste persone avranno mostrato il cammino che porta alla liberazione dalla tirannia violenta. Vi prego di credermi quando affermo che in India trovereste un numero inaspettato di uomini e donne simili. Essi hanno ricevuto questa formazione da più di vent’ anni.

Con la tecnica della non violenza, comé ho detto, la sconfitta non esiste. Si tratta di un «agire o morire senza uccidere nè ferire. Essa può essere utilizzata praticamente senza denaro e senza l’aiuto di quella scienza della distruzione che voi avete portato a un tale grado di perfezione. Io sono stupito dal fatto che voi non vediate come questa non sia monopolio di nessuno. Se non saranno i britannici, sarà qualche altra potenza a migliorare il vostro metodo e a battervi con le vostre stesse armi. Non lascerete al vostro popolo un’eredità di cui potrà andare fiero. Non potrà andare orgoglioso raccontando atti crudeli, anche se abilmente preparati. Vi chiedo dunque in nome dell’umanità di cessare la guerra. In questa stagione in cui i cuori dei popoli d’Europa implorano la pace, noi abbiamo sospeso anche la nostra stessa lotta pacifica. Non è troppo chiedervi di fare uno sforzo per la pace in un momento che forse non significherà nulla per voi, ma che deve significare molto per i milioni di europei di cui io sento il muto clamore per la pace, perché le mie orecchie sono abituate a sentire le masse silenziose.

Avevo intenzione d’indirizzare un appello congiunto a voi e al signor Mussolini, che ho avuto l’onore di incontrare all’epoca del mio viaggio in Inghilterra come delegato alla Conferenza della tavola rotonda. Spero che egli vorrà considerare questo come se gli fosse stato indirizzato, con i necessari mutamenti.

M. K. Gandhi

 

Collected Works of Mahatma Gandhi, vol. 79, pp. 453-456.

YOGESH CHADHA, Gandhi. Il rivoluzionario disarmato, Mondadori, 1998, pag. 363-364.