In Bilico: 1° convegno sulla prevenzione della salute mentale

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Si è tenuto, presso l’aula magna della facoltà di Economia e commercio dell’ Università degli Studi del Piemonte Orientale di Novara, il I° convegno in tema di prevenzione della salute mentale. Erano presenti circa 600 persone.

Sono intervenuti: il prof. Domenico Nano (Direttore Dipartimento Salute Mentale Asl Novara), la dott.sa Grazie Nuvolone (Psicologa Psicoterapeuta, Responsabile servizio di psicologia Asl Novara e Borgomanero), dott.sa Tiziana Calogero (pedagogista clinico), dott. Enzo Cordaro (Direttore dell’Unità Operativa di Psicologia del lavoro e del Centro mobbing dell’Azienda Sanitaria USL Roma e Presidente di APOLIS (Associazione di Psicologia delle Organizzazioni e del Lavoro In Sicurezza), Prof. Eugenio Borgna (Primario Emerito di Psichiatria dell’Ospedale Maggiore della Carità di Novara e Libero Docente), dott. Mauro Scardovelli (Psicoterapeuta, Musicoterapeuta, Trainer di PNL Umanistica Integrata).

Gianluca Minella, facilitatore e formatore, ha introdotto e moderato il convegno.

Introduzione

La finanza guida l’economia. Le esigenze dell’economia guidano la ricerca scientifica e tecnologica, compresa quella sanitaria. Finanza, economia e tecno-scienze sovra-determinano la politica e l’educazione. All’ultimo posto c’è l’uomo, l’etica umanistica. E che cos’è l’uomo se non il flusso ininterrotto dei suoi sentimenti e delle sue emozioni, della vita che scorre dentro di lui? Sta in piedi questo sistema?

James Hilllman, filosofo e psicoanalista che ha studiato con Jung, dice che oggi “l’inconscio è l’economia”. Significa che il potere economico è interiorizzato al punto da essere diventato usuale, familiare e quotidiano e quindi finisce per governarci con mezzi psicologici. E’ l’economia a distribuire premi e punizioni, vantaggi e svantaggi, chi è incluso e chi è marginalizzato. Come sta oggi chi perde il lavoro?

Un altro psicoanalista di fama mondiale, Luigi Zoia, dice che dopo la morte di Dio, è morto anche il prossimo, colui che puoi toccare e su cui puoi posare la mano. La famiglia, rispetto alle generazioni che l’hanno preceduta, si presenta oggi in una forma troppo isolata, nucleare, troppo racchiusa tra mura che divenute più spesse creano l’ambiente adatto alla disperazione, dove i problemi si ingigantiscono perché non ci sono altri punti di vista. Con la morte del prossimo muore la capacità di amare, di donare, di ascoltare le ragioni dell’altro, di prendersi cura. E in un mondo sempre più orientato agli oggetti la sofferenza relazionale è altissima. L’economia è diventata la nostra teologia.

Umberto Galimberti, nel suo ultimo e splendido, libro analizza i miti del nostro tempo, queste “idee pigre” che ci possiedono se non le mettiamo in discussione come il mito della eterna giovinezza, della moda, della tecnica, del mercato e della crescita illimitata, del potere e arriva a dire ”[…] sarebbe allora tempo che la psicologia, la psichiatria, la psicoanalisi si destassero dal torpore profondo in cui sono assopite e capissero che sono le idee dis-funzionali del mondo di oggi ad aver bisogno della nostra cura psicologica, più che le ferite del bambino interiore del passato […] Sarebbe opportuno che la psicologia recuperasse questa antica intuizione e, uscendo dalla camera da letto di mamma e papà, cominciasse a curare le idee dis-funzionali che percorrono la nostra società e non soltanto i portatori e le vittime di queste idee” (Umberto Galimberti, I miti del nostro tempo, p. 120)

Come è possibile curare la mente che è l’organo che “sintetizza” la cultura, senza curare anche il mondo in cui viviamo? Chiedere ad una persona oggi “ma sei felice?” non è come chiedere a chi è immerso fino al collo nell’acido solforico “come ti senti?”.

Questo è l’uomo contemporaneo? E’ seduto su una cassa ed è alla ricerca di qualcosa che non c’è, come raggiungere una meta, intento a chiedersi: “Sarò all’altezza? Vado bene? Ce la farò? Sono meglio o peggio? La sua teologia è diventata l’economia costruita intorno al mito dell’efficienza. Dentro la cassa i suoi talenti e le sue risorse. Ebbene questo povero essere umano possiede al suo interno tante potenzialità ma il suo sguardo è rivolto verso l’esterno, è scollegato dalla vita, dal flusso dei suoi sentimenti più intimi, delle sue emozioni, dai suoi bisogni profondi, come il bisogno di entrare in contatto, in intimità con se stesso e con gli altri. Soffre. E’ in bilico tra ciò che lo rende profondamente umano e la sua costante preoccupazione: sarò all’altezza? Ce la farò? Vado bene? Sono meglio o peggio?

E’ sempre in tensione, preoccupato a dover dimostrare qualcosa piuttosto che a dover diventare se stesso come indicavano i greci: “Diventa ciò che sei”. Ma per diventare ciò che sei ti devi conoscere, com’ era scritto sul tempio a Delphi.

Si perché la felicità è una condizione dell’essere e non dipende da fattori esterni come ci testimonia Etty Hillesum, una ragazza che a 29 anni muore ad Aushvitz  nel 1943, considerata uno dei tesori più preziosi della spiritualità del novecento, di cui vi leggo un breve passo:

“Com’è strano, c’è la guerra. Ci sono i campi di concentramento. Piccole barbarie si accumulano di giorno in giorno. Camminando per le strade io so che in quella casa c’è un figlio in prigione, in quell’altra un padre preso in ostaggio, o un figlio diciottenne condannato a morte. So quanto la gente è agitata, conosco il grande dolore umano che si accumula e si accumula, la persecuzione, l’oppressione, l’odio impotente e il sadismo […] Eppure, in un momento di abbandono, io mi ritrovo sul petto nudo della vita, e le sue braccia mi circondano così dolci e protettive, e il battito del suo cuore non so ancora descriverlo: così lento e regolare e così dolce, quasi smorzato, ma così fedele, come se non dovesse arrestarsi mai, e anche così buono e misericordioso. Io sento la vita in questo modo, né credo che una guerra, o altre insensate barbarie, potranno cambiarvi qualcosa” (Etty Hillesum, Diario 1941-43, 26 maggio 1942)

Novara, 20 novembre 2010

Gianluca Minella