Fuge, tasce, quiesce. L’esicasmo e la preghiera del cuore.

Gregorio Palamas

“La preghiera cristiana ha sempre avuto e continua ad avere come proprio punto di riferimento Gesù Cristo. La testimonianza dei Vangeli ci presenta, in diverse occasioni e con riferimento a differenti circostanze, il Cristo che prega. Dal passo di Luca 11,1 apprendiamo che fu proprio l’atteggiamento di Gesù, continuamente dedito alla preghiera, a motivare nei discepoli la domanda: «Signore, insegnaci a pregare come Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli».

Sappiamo, infatti, che all’epoca di Gesù i vari gruppi religiosi ebraici, pur nell’ambito della comune tradizione giudaica, facevano uso di diversi tipi di preghiera. Dalla testimonianza di Luca apprendiamo, inoltre, che anche il Battista si distingueva come maestro di preghiera, come uno, cioè, che insegnava qualcosa di più rispetto a ciò che, con riferimento ad essa, ogni buon ebreo era tenuto a conoscere senza necessità di recarsi presso un maestro.

I Vangeli ci presentano, quindi, la figura del Cristo anche sotto il profilo del maestro di preghiera e dalle varie testimonianze emerge con chiarezza che Gesù non solo insegnò un tipo nuovo ed originale di preghiera, il Padre Nostro, non solo fece uso in diverse occasioni di formule di preghiera1 e diede consigli pratici su come pregare,2 ma di fatto s’impegnò in due tipi di preghiera: una pubblica e comunitaria ed una più raccolta fatta di solitudine.

Preghiera comunitaria e preghiera, per così dire, «privata» verranno a costituire le due articolazioni fondamentali dell’orazione cristiana lungo una storia che talvolta mostrerà di privilegiare uno di questi due momenti a scapito dell’altro, ma che il più delle volte cercherà di armonizzare e conciliare i medesimi nella pratica quotidiana dei devoti.

Gesù aveva certamente familiarità con le tre preghiere canoniche della tradizione ebraica: lo Shemà del mattino, la Tefillah, preghiera del pomeriggio e lo Shemà della sera. Il Signore si riferisce esplicitamente allo Shemà in Marco 12,29, vi allude in Luca 10,26, inoltre da Atti 3,1 apprendiamo che i discepoli, evidentemente sull’esempio del Maestro, erano assidui nella recita della Tefillah, la preghiera pomeridiana, quella forse più importante e rappresentativa del mondo ebraico, costituita da una serie di diciotto benedizioni.

Anche esteriormente Gesù, rimanendo fedele agli atteggiamenti tipici della preghiera ebraica (s’inginocchia, si prostra, alza gli occhi al cielo), mostra di voler rispettare, soprattutto nel suo ministero pubblico, i tempi e le forme della preghiera tradizionale d’Israele. Pur, però, nella frenetica attività che la sua missione necessariamente comportava, sapeva trovare il tempo di ritirarsi in inaccessibili, per pregare da solo o con i suoi discepoli prediletti. Diversi sono gli episodi riportati nei Vangeli: in Marco 1,35 Gesù «molto prima del giorno, si levò, uscì e si ritirò in un luogo solitario, e là pregava», in Matteo 14,23 e Marco 6,46 «salì sul monte da solo per pregare». In situazioni particolarmente delicate, inoltre, Gesù pregò tutta la notte: prima della elezione dei dodici apostoli, prima della Passione, pochi giorni prima della Trasfigurazione. Non siamo, purtroppo, in grado di sapere come concretamente il Cristo pregasse in questi momenti di solitudine. D’altra parte s’impone la considerazione che una preghiera direttamente rivolta dal Figlio al Padre si sottrae necessariamente ad ogni tentativo di classificazione.

Occorre, tuttavia, rilevare che gli atteggiamenti di Gesù nei confronti della preghiera sono stati fonte di continua ispirazione per tutta la successiva pratica cristiana. Se, infatti, l’adesione del Cristo alla tradizionale recita dei salmi deve essere stata all’origine della fortuna che la preghiera salmodiale e vocale, sia comunitaria che privata, ha sempre avuto nella storia della Chiesa, d’altra parte è da presumere che la preghiera solitaria del Signore, come anche il suo ritiro nel deserto, abbiano stimolato la ricerca, da parte di spiriti fervorosi, di metodi e percorsi di vita che potessero favorire un tipo di preghiera particolarmente intimo e contemplativo. Il desiderio di imitare il più possibile la preghiera di Gesù, preghiera di amore, di lode e di obbedienza nei confronti del Padre estesa quanto la sua vita, sarà proprio già degli apostoli e attraverserà, in seguito, tutta la millenaria storia della spiritualità cristiana. È in quest’ottica che sono da leggere i consigli e i «metodi» che i grandi maestri di spiritualità, come la semplice pietà popolare, sapranno elaborare nel corso dei secoli per facilitare tale cammino di imitazione, per corrispondere al monito dell’Apostolo di pregare incessantemente (1 Tess 5,17) e per conseguire quello «stato» di preghiera, inteso come «comunione col Padre e col Figlio Suo Gesù Cristo» nello Spirito Santo, che costituisce la meta della vita cristiana.

È all’interno di questo ordine di idee e di atteggiamenti spirituali, orientati ad una imitazione della preghiera «solitaria» di Gesù, che occorre inquadrare una delle correnti più antiche della spiritualità cristiana: l’Esicasmo”.

Roberto Rondanina, Fuge, tace, quiesce. L’esicasmo e la preghiera del cuore, in AA.VV, Per una teologia del cuore, Edizioni Interlinea, Novara, 2001. pp. 137-157.

  Leggi l’articolo integrale