Il mandala come cura. Dalla separatività all’unità
- Gianluca Minella

- 4 giorni fa
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Aggiornamento: 3 giorni fa
"Il mandala è il centro, l’espressione di tutte le vie, è la via verso l’individuazione.”, Carl Guastav Jung
Ci sono momenti in cui la vita sembra disperdersi in mille direzioni.
La mente si frantuma, il cuore si affatica, il corpo cerca un centro che sfugge.
In quei momenti, il mandala può diventare una via di ritorno: un disegno, una forma, un gesto che ci riporta all’unità.
Presente in tutte le culture — dall’arte buddhista ai rosoni delle cattedrali, fino ai simboli tribali — il mandala rappresenta l’ordine cosmico che abita anche dentro di noi.
La sua osservazione o la sua creazione aiutano a centrarsi, ad armonizzare le parti interiori, a lasciare che la vita riprenda il suo ritmo naturale.
Il mandala come simbolo universale di totalità
Jung intuì che il mandala non è solo un disegno ornamentale, ma un archetipo della totalità:
“Il tema dominante del mandala è l’idea di un centro della personalità, di un punto centrale all’interno dell’anima, al quale tutto è correlato e dal quale tutto è ordinato.”
In ogni cerchio, in ogni ripetizione armonica, c’è un movimento verso il centro — e dal centro verso il tutto. Questo doppio flusso rappresenta la tensione vitale tra dispersione e integrazione, la spinta profonda a “diventare ciò che si è”: “L’energia del punto centrale si manifesta in un impulso a divenire ciò che si è.”

Il mandala come pratica di cura
Disegnare o colorare un mandala non è un atto estetico, ma un gesto terapeutico.
Nelle fasi di crisi, di sofferenza interiore o di smarrimento, può diventare una forma di auto-riparazione simbolica: un modo per riordinare fuori ciò che dentro è caotico.
Jung stesso sperimentò la potenza del mandala come cura, di questo processo creativo: "I miei mandala erano crittogrammi concernenti lo stato del mio Sé, che mi erano proposti quotidianamente. In essi vedevo come il Sé, cioè la mia totalità, operava.”
Nel Libro Rosso, Jung disegnò e colorò mandala in momenti di profonda crisi personale.
Ne scoprì così la funzione di ponte tra coscienza e inconscio, di strumento che restituisce coerenza e significato.
Il cerchio che guarisce
Il mandala è una forma di meditazione attiva: chi lo osserva o lo crea entra in un dialogo silenzioso con il proprio centro. È come se, tracciando il cerchio, la psiche potesse ritrovare la propria orbita naturale. “Chi si abbandona al mandala diventa terapeuta di se stesso.”
In quel movimento circolare non c’è giudizio né sforzo: solo il fluire tra opposti — luce e ombra, coscienza e inconscio — fino a percepire che la separazione è illusoria.
Il mandala ci insegna che il centro non va cercato: si rivela quando smettiamo di fuggirlo.
In conclusione ogni mandala è una traccia di riconciliazione: tra corpo e spirito, conscio e inconscio, io e mondo. Non serve saper disegnare: basta lasciarsi guidare dalla forma che nasce e dal colore che chiama. Quando il gesto diventa circolare, l’anima si ricompone.
E nel cuore del cerchio — come scriveva Jung — “il Sé opera.”
Gianluca Minella, psicologo e psicoterapeuta ad orientamento analitico
Ricevo su appuntamento presso lo Studio di Psicologia a Castelletto Sopra Ticino, facilmente raggiungibile da Arona, Sesto Calende e altre zone del Lago Maggiore.
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