Terapia Emdr per fare pace col passato.
Se vi è mai capitato qualcosa che preferireste lasciarvi alle spalle e nel tempo sono comparsi sintomi come paura, tristezza o insonnia, la terapia Emdr potrebbe esservi d’aiuto. Dal morso di un cane da bambini a un incidente d’auto, fino a esperienze fortemente traumatiche di lutto, violenza e disastri naturali, ogni episodio viene archiviato nel nostro cervello insieme a un corredo di emozioni.
I traumi passati lasciano una traccia nella mente e nel corpo, e un trigger (uno stimolo) può riattivarli in modo imprevedibile, facendoci sentire angosciati e vulnerabili.
La terapia Emdr lavora sui ricordi originati nel momento del trauma e ne spegne la carica emotiva negativa. Placato l’incendio, c’è spazio per rielaborare l’accaduto con più distacco e per ricostruire. Funziona un po’ come un kintsugi che ripara le crepe della nostra memoria. Al posto della polvere d’oro, sensazioni nuove di zecca.
L’Emdr è un trattamento psicoterapeutico scoperto per puro caso nel 1987 e poi codificato dalla psicologa californiana Francine Shapiro per alleviare lo stress e i sintomi associati ai ricordi traumatici. L’acronimo sta per “Eye movement desensitization and reprocessing” (Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari).
Durante le sedute di Emdr, infatti, si attivano entrambi i processi man mano che il paziente segue con gli occhi le dita del medico che compiono un movimento simile a quello del sonno Rem: la desensibilizzazione nei confronti del ricordo dell’evento traumatico e la sua rielaborazione a livello emotivo, cognitivo e corporeo. Oltre all’uso dei movimenti oculari, esistono anche altre modalità quali il tapping (tamburellamenti) o la stimolazione acustica.
Alcuni confondono questa tecnica con l’ipnosi, ma c’è un’enorme differenza: durante la seduta Emdr la persona rimane vigile e cosciente. Se da un lato l’attenzione torna alle emozioni, ai pensieri e alle sensazioni vissuti in passato, dall’altro si mantiene un contatto continuo nel qui e ora, per trovare dellechiavi di lettura diversedell’evento traumatico così da poterlo integrare nella propria identità e nella propria storia.
Dagli oltre 3mila articoli pubblicati anche sulle riviste scientifiche e dell’ampio utilizzo che ne fanno ospedali e istituzioni in Europa e nel mondo, si deduce che questo trattamento funzioni, con risultati soddisfacenti in tempi relativamente più brevi rispetto ad altri percorsi psicoterapeutici. Perché?
“Il lavoro con l’Emdr sfrutta il naturale sistema di elaborazione adattiva dell’informazione”, spiega la dottoressa Isabel Fernandez, Presidente dell’associazione per l’Emdr in Italia. “In una condizione guidata e protetta, al sicuro quindi dal rischio di ritraumatizzazione, l’intervento Emdr si focalizza sul ricordo disturbante per riattivarne e completarne l’elaborazione interrotta. Il materiale bloccato, che era rimasto ‘intrappolato’ in forma implicita in reti neurali a sé stanti, con l’aiuto della stimolazione bilaterale e, in qualche caso, con opportuni interventi di sostegno da parte del terapeuta, può essere, finalmente, esplorato e ricollegato al resto delle informazioni a disposizione del cervello. Questo collegamento, che permette alle reti neurali relative all’esperienza traumatica di utilizzare il patrimonio di memoria funzionale da cui erano rimaste isolate, riattiva l’elaborazione, sfruttando il naturale sistema di elaborazione adattiva dell’informazione del nostro cervello”.
Sugli effetti che il movimento oculare della terapia Emdr produce nel cervello sono state avanzate diverse ipotesi. La più accreditata, pubblicata sulla rivista Nature, spiega come favorire la stimolazione bilaterale “attivi alcune strutture cerebrali preposte all’elaborazione dell’informazione, come il corpo calloso e il talamo mediodorsale, che ci permettono di regolare le emozioni sulla base delle informazioni che stiamo ricevendo”, precisa Fernandez.
Un’altra tesi è che i movimenti saccadici degli occhi stimolerebbero un processo simile al sonno della fase REM, in cui accadono movimenti piuttosto simili mentre processiamo e integriamo quello che ci è accaduto nella fase di veglia.
Oppure si ipotizza che seguire con lo sguardo le dita che si spostano durante il recupero del ricordo traumatico appesantisca la memoria di lavoro al punto che questa non sarebbe più in grado di recuperare le informazioni traumatiche con la stessa vividezza. È la cosiddetta teoria del working memory taxing.
“In pratica, i ricordi passerebbero dal sistema limbico, legato a emozioni forti come rabbia, dolore, paura, alla corteccia, diventando meno disturbanti. Dopo le sedute di Emdr il paziente si sente più sereno e si può dire che sia in qualche modo più libero. E questo è l’importante”, conclude Fernandez. Una considerazione che vale per tutti, ma specialmente per chi ha vissuto traumi con la T maiuscola.
Esistono Traumi con la T maiuscola, che mettono a rischio vita o integrità fisica di sé o altrui. Si pensi agli incidenti gravi, ai lutti e alle calamità naturali come alluvioni e terremoti. Basti pensare che dopo i devastanti terremoti della scorsa settimana in Turchia e in Siria, gli psicologi di Save the children avvertono che sono a rischio la salute mentale e il benessere di sette milioni di bambini e che alcuni mostrano segni di grave disagio riconducibili al Ptsd inclusi incubi, aggressività o chiusura. Questi traumi rispondono meglio alla terapia Emdr, anche con poche sedute.
E poi ci sono i traumi con la t minuscola, sono episodi per certi aspetti più comuni e ricorrenti nella storia della persona. Solitamente si tratta di ricordi dell’infanzia che hanno creato delle ferite interne originate da traumi relazionali con le figure di attaccamento, genitori o altre figure significative e causano sintomi quali impulsività, disregolazione emotiva, somatizzazione o problemi di relazione importanti. Questi disturbi, all’apparenza meno gravi, richiedono più sedute e un supplemento di interventi accanto all’Emdr.
Il movimento oculare guidato da uno psicoterapeuta attenua naturalmente lo stress dei ricordi traumatici. Una sorta di kintsugi della memoria, per ricomporre la propria vita.
Sfruttando il naturale sistema di elaborazione adattiva dell’informazione si possono accorciare i tempi della terapia. Anche se l’efficacia del metodo è, come si usa dire, evidence based (basata sulle evidenze), si continuano ancora oggi a indagare i meccanismi che la rendono tale.
In Italia è soprattutto il gruppo di Marco Pagani, neurofisiologo del Cnr, a studiare il meccanismo d’azione dell’Emdr. Tramite elettroencefalogramma, risonanza magnetica funzionale e Pet ha dimostrato come la stimolazione bilaterale favorisca le onde lente (delta) tipiche del sonno, favorendo la desensibilizzazione del trauma e l’integrazione della memorie.
“In pratica, i ricordi passerebbero dal sistema limbico, legato a emozioni forti come rabbia, dolore, paura, alla corteccia, diventando meno disturbanti. Dopo le sedute di Emdr il paziente si sente più sereno e si può dire che sia in qualche modo più libero. E questo è l’importante”, conclude Fernandez. Una considerazione che vale per tutti, ma specialmente per chi ha vissuto traumi con la T maiuscola.
Come afferma Chuck Palahniuk “dimenticare il dolore è difficilissimo, ma ricordare la dolcezza lo è ancora di più. La felicità non ci lascia cicatrici da mostrare. Dalla pace impariamo così poco“.