Teilhard de Chardin e la spiritualità del ‘900.
Gesuita francese nato nel 1881 e morto a New York il 10 Aprile 1955. L’ordine dei Gesuiti si contrassegna per un particolare voto di obbedienza al Papa, ma de Chardin si distinse in questo; teorizzò una teologia rivoluzionaria completamente differente nel pensiero e nella modalità di configurare il mondo, per nulla obbediente rispetto alla dottrina consolidata.
Oltre che teologo fu prima di tutto uno scienziato, per la precisione, un paleontologo e fece diverse spedizioni in Cina, Giava, California, nel deserto della Mongolia, in SudAfrica.
Prima di tutto è importante conoscerlo come uomo, attraverso ciò che scrissero di lui i superiori militari quando, durante la prima guerra mondiale, svolse il ruolo di porta-feriti dell’esercito francese.
“Esempio di ardimento, abnegazione e sangue freddo, … Graduato eccellente, per l’elevatezza del suo carattere ha conquistato la fiducia e il rispetto. Insignito della legione d’onore.”
De Chardin fece totalmente suo il dato dell’evoluzione, assunse questo dato scientifico nella sua visione filosofica e teologica del mondo: ha voluto rendere operativo il dato scientifico dell’evoluzione all’interno della teologia.
Vi sono persone che mettono in netto contrasto l’elemento “evoluzione” con la religione facendo della scienza e della religione due antagoniste. Il tentativo di De Chardin fu proprio quello di porre il dato scientifico in piena armonia con il nucleo centrale del messaggio cristiano. Anzi, lui sosteneva che la modalità concreta con cui la creazione si attua è precisamente l’evoluzione.
La creazione non va pensata come qualcosa avvenuta all’inizio del tempo poi destinata a riprodursi staticamente; al contrario, va pensata come un processo dinamico. In quest’ottica, De Chardin lotta contro il dualismo spirito-materia: c’è un unico essere che ora è materia ora è spirito in perfetta continuità ed evoluzione.
In un suo scritto racconta di quando, da bambino, si innamora della materia:
“Mi ritiravo nella contemplazione del mio Dio di ferro; niente era più tenace, più duro, più pesante e più duraturo di questa meravigliosa sostanza. La consistenza: tale è stata indubbiamente per me la caratteristica fondamentale dell’essere.”
L’anima non è da pensarsi come qualcosa che scende dall’alto verso il basso, così come ancora oggi la dottrina tradizionale sostiene; al contrario, va pensata come qualcosa che scaturisce dal basso, dalla materia che ritrova il senso preciso del suo nome. Il termine “materia” viene da “mater”, la madre di tutte le cose, anche dello spirito. Più la materia è ordinata più produce livelli superiori dell’essere, e il livello più alto è quello dell’anima spirituale.
Leggendo gli scritti di De Chardin si comprende come la coscienza e lo spirito nascono dalla materia. Il suo punto di forza è che, a suo parere, l’evoluzione c’è, contrariamente a quanto la dottrina pensasse, ma soprattutto questa evoluzione ha una progettualità, una meta. In questo si oppone alla visione tradizionale secondo cui nella materia non c’è nessuna progettualità ma solo un’anarchia senza scopi.
“Guardiamo con obiettività il processo materiale, il processo del mondo così come si è costituito…” assumendo fino in fondo l’idea che il mondo è scaturito dal puntino cosmico primordiale infinitamente piccolo e via via è giunto a livelli di profondissima complessità qual è la vita e la vita umana.
Alla luce di tutto ciò, non si può non riconoscere che il processo evolutivo non abbia una meta e un progetto. E’ dalla materia, sostiene De Chardin, che nasce la biosfera, cioè la sfera della vita, e da questa scaturisce un livello superiore che è la noosfera, cioè la sfera del pensiero.
Durante una sua spedizione nel deserto alla ricerca di fossili umani scrisse alcune delle pagine considerate le piè belle della sua opera e della letteratura spirituale del novecento, intitolate “La messa sul mondo”. Eccone un breve stralcio.
“Poiché ancora una volta, o Signore, nelle steppe dell’Asia sono senza pane, senza vino, senza altare, mi leverò al di sopra dei simboli fino alla pura maestà del reale e ti offrirò io, tuo sacerdote, l’altare della terra totale, il lavoro e la pena del mondo poiché tu mi hai dato, o Signore, una simpatia irresistibile per tutto ciò che si agita nella materia oscura. Poiché riconosco in me un figlio della terra ben più di un figlio del cielo, su tutto ciò che nella carne dell’uomo si prepara a nascere o perire sotto il sole che spunta, io invocherò il tuo fuoco.”
Questo grande gesuita, la cui portata spirituale ancora oggi è poco conosciuta e valutata, fu soprannominato “il gesuita proibito” a causa delle sue idee rivoluzionarie, e nel 1925, quando ricopriva la cattedra universitaria di geologia all’Istituto Cattolico di Parigi, fu rimosso dall’incarico e la chiesa di Roma proibì a tutte le università, i seminari, le facoltà teologiche, di leggere le sue opere.
Fu inviato in esilio in Cina (erano gli anno Venti), trovandosi a contatto con una mentalità ancora più retrograda di quella di sua provenienza; per tutta la vita gli venne impedito di pubblicare qualsiasi testo, anche il suo capolavoro scientifico intitolato “Il fenomeno umano”, che poté vedere la luce solo dopo la sua morte.
Ma, che cosa dava realmente fastidio alla gerarchia di De Chardin?
La contestazione del dogma del peccato originale. Per lui non aveva alcun senso l’affermazione di un Adamo originario, un unico capostipite di tutta l’umanità che ha peccato e a causa del quale tutta l’umanità diventa peccatrice, per un semplice motivo: questo Adamo storico non è mai esistito.
Dobbiamo prendere atto, sosteneva, che l’idea del monogenismo (cioè che l’intera umanità scaturisca da un’unica coppia, Adamo ed Eva) è qualcosa di storicamente e scientificamente infondato. Da qui, anche l’idea che ci sia un peccato che grava su ogni uomo che nasce, per il fatto stesso di venire al mondo. Per lui tutto ciò era offensivo nei confronti della paternità divina.
Questa sua rivoluzionaria idea incontrò un consenso di pubblico molto alto, anche dopo la sua morte, ritenuto dalla chiesa romana preconciliare (anno 1962) disdicevole e offensivo verso la dottrina cattolica.
In realtà, De Chardin mostrò di amare profondamente il mondo come logica conseguenza dell’amore per Dio, anzi: era possibile arrivare a Dio solo attraverso l’amore per il mondo. Per questo fu condannato, per il fatto che poneva il mondo in un posto e in un valore troppo alti.
Nel 1934, in esilio a Pechino, scrisse queste parole:
“Se a seguito di un qualche capovolgimento interiore dovessi perdere la mia fede in Cristo, la mia fede in un dio personale, la mia fede nello spirito, a me sembra che io continuerei a credere invicibilmente nel mondo. Il mondo, il valore, l’infallibilità e la bontà del mondo. Ecco un’ultima analisi, la prima, l’ultima e la sola cosa in cui io credo. E’ di questa fede che io vivo ed è a questa fede che io Lo sento nell’ora della morte. Oltrepassando tutti i dubbi, mi abbandonerò.”
Occorre un’anima attenta per cogliere lo spirito che soffia nel cuore del mondo.
Vito Mancuso, tratto dal programma, Damasco, Il terzo Anello, di RAI radio 3