Con Vimala Takar ci chiediamo: “Cosa intendiamo per meditazione?” Può la meditazione o la mindfulness essere un utile strumento per lo psicologo, lo psicoterapeuta o lo psicoanalista? Nel sostegno psicologo o più specificatamente per affrontare ansia, depressione, panico solo per descrivere alcuni dei più comuni disagi di cui soffre una fetta significativa dell’umanità contemporanea?
Il termine meditazione può avere un’infinità significati, è una parola che innesca una molteplicità di associazioni per cui è importante prestare una speciale attenzione alle implicazioni di questa parola.
Non il significato in uso nella lingua corrente dove meditare è in riferimento al verbo “meditare su”, “meditare circa”.
In questa accezione esiste sempre una relazione tra un soggetto e un oggetto. Sto meditando sulla possibilità di fare un viaggio oppure sto meditando intorno ad un problema.
Io, che sono un individuo, un soggetto, medito un oggetto che è fuori di me oppure contemplo un magnifico panorama.
In questo senso meditare è “focalizzare” la propria attenzione su un oggetto, concentrare la propria attività mentale su un “punto” prestabilito e mantenerla.
Questo tipo di attività ha più a che fare con la “concentrazione” e non con la “meditazione”.
Nell lingua sanscrita esistono due parole diverse “dharana” che significa mantenere l’attenzione e cioè concentrazione e “dhyana” che si riferisce ad un altro tipo di atteggiamento, uno stato di consapevolezza senza sforzo, non di un’attività.
È necessario “disinfestare la parola meditazione da tutta una serie di associazioni” per ricondurla al suo significato autentico.
Mentre la “concentrazione” implica uno sforzo, la meditazione è un “movimento non cerebrale, un movimento della coscienza individuale, ma non di quella parte del cervello condizionato […] derivante dall’educazione, dalla cultura, dalla civiltà e dai fattori socio-economici della vita”.
La meditazione non può essere, per questo motivo, un mezzo rivolto ad un fine, ma è un “trascendimento del cervello condizionato”, dei comportamenti stereotipati, di tutte le credenze e convinzioni, del pensiero che pensa.
Il ricercatore spirituale
Vimala Takar, maestra di meditazione, allieva di Jiddu Krishnamurti, ci interroga su quale sia il movente della nostra ricerca spirituale. Possediamo questa urgenza come reazione alle frustrazioni della vita?
Ai fallimenti e alle delusioni che abbiamo incontrato? Come reazione all’ambizione di ottenere qualcosa, anche se diverso dalle “cose” materiali?
Ebbene se c’è un movente questo mi sosterrà fintanto che ci sarà la spinta della reazione.
È dunque assolutamente necessario “possedere la fiamma pura e senza fumo della ricerca”, non per l’urgenza di scoprire o trovare qualche cosa, ma per il gusto di scoprire il significato e il senso della vita “per la sua gioia intrinseca”.
Quando c’è questa fiamma di ricerca volta ad imparare, a scoprire, a vedere, a trovare, per la sola gioia di farlo le inibizioni, le ambizioni e i moventi scompaiono. Ogni movente crea un’inibizione e nasconde nella propria ombra una paura, come ogni ambizione porta nel grembo la paura del fallimento e della frustrazione. L’atteggiamento del ricercatore come quello di un bambino
Avete mai notato come apprendono i bambini? Li avete osservati in classe o a casa quando fanno i compiti? Avete mai osservato come siedono, come toccano la lavagna, con la loro tenerezza e duttilità, il loro graduale sviluppo e poi il primo manifestarsi di una rigidità di approccio, man mano che vanno avanti negli anni?
Il ricercatore spirituale è come un duttile bambino. È vulnerabile al tocco della vita, esposto da ogni parte all’essenza della vita, senza alcun meccanismo di difesa. Nel bambino il meccanismo di difesa opera soltanto a livello fisico; a livello psicologico il bambino è esposto alle vibrazioni della vita. “Allo stesso modo un ricercatore si espone alle vibrazioni della vita […] Come sono duttili e teneri i bambini! Tutto il loro essere è una fiamma di ricerca. Guardate i loro occhi, i loro movimenti, vogliono imparare e crescere”.
Vimala Takar insiste molto sulla tenerezza e sulla la duttilità come conseguenze naturali di un’atteggiamento di passività radicale nel quale si liberano molte energie latenti – muscolari, nervose, ghiandolari, cerebrali e non cerebrali – che vengono incatenate e bloccate dalla rigidità della coscienza dell’io condizionato. Nel momento in cui si diventa duttili e teneri come bambini, senza lo sforzo del pensiero condizionato, si entra in uno stato di beatitudine e di realizzazione. Del resto Gesù ci ricorda che non possiamo entrare nel regno dei cieli se non diventeremo come bambini.
“Abbiamo paura di essere esposti alla vita, di vivere in uno stato di innocenza, di assoluta incondizionata vulnerabilità, al nudo tocco della vita così come è, e di lasciare che le risposte vengano da sole”.
Secondo questo punto di vista nello stato ordinario di coscienza siamo più o meno tutti “nevrotici”, proprio nell’accezione elegante che Jung della nevrosi come sostituto della sofferenza necessaria.
La vita è sofferenza, angoscia, paura, terrore di sprofondare nel caos indifferenziato da cui proveniamo e le nostre strutture mentali si sono costruite nell’evoluzione dell’umanità proprio come risposta e difesa verso questo stato di angoscia e terrore originario. È così che si è formato l’Ego ossia la mente condizionata con tutto il sistema di convinzioni, miti e credenze che sono stati necessari alla sopravvivenza.
È necessario mettere solide basi per preparare l’esperienza. Una ricerca spirituale genuina non è un’attrazione emotiva o intellettuale, non una fascinazione o eccitazione. Nel vero ricercatore “c’è una profonda intensità, ma non la superficialità di un eccitamento entusiastico. Eccitazioni, entusiasmi, stimolazioni di emozioni e sentimenti, disturbano l’equilibrio chimico dell’essere.
“Occorre dunque gettare le giusta fondamenta di quello stato di meditazione in cui il proprio meccanismo fisico e biologico si trova in uno stato di equilibrio chimico e di rilassamento nervoso”.
La pratica meditativa richiede che una persona sia sana e integra nel corpo e nella mente. Ecco perché nella tradizione orientale è necessaria disciplina, attività fisica, pratica dello yoga, il pranayama che aiuta ad ossigenare il sangue, gli asana che hanno lo scopo di mantere in corpo intero e in connessione tra tutti i sistemi, muscolari, ghiandolari, nervosi. I maestri spirituali ci mettono in guardia affinché siano state gettate le giuste fondamenta, una disciplina e un ordine esteriore, un organismo sano e puro, che prepari l’incontro con i contenuti dell’inconscio profondo. L’incontro tra la mente condizionata e l’inconscio non è affatto facile, ci vogliono nervi d’acciaio. Occorre una forza tremenda per attraversare questa esperienza.
Il grande lavoro è preparare questo corpo stupendo, questo complesso e fantastico strumento attraverso il quale possiamo fare l’esperienza della “vita totale”. Quando si parla di purificazione è da intendersi non in senso puritano, ma come come de-condizionamento dalle incrostazioni mentali che ci impediscono di accedere pienamente alla vita, a quel “movimento” disinibito della vita che vibra dentro e fuori di noi. E questo movimento della vita è qualitativamente diverso dal movimento del pensiero o dal movimento degli istinti come il sesso, la fame e il sonno.
In entrambi i casi abbiamo a che fare con strutture automatiche condizionate e condizionanti. Ecco perché è consigliata una “purificazione” dell’intero sistema fisico e psichico affinché sia libero dalle memorie del passato e affinché sia pronto per accedere ad un nuovo stato di coscienza. E questo bisogna scoprirlo per conto proprio, “l’esperienza la devi fare tu in prima persona”.
Jiddu Krisnamurti afferma che la più alta forma di intelligenza è osservare senza giudicare. Bisogna imparare che cosa è l’osservazione, apprendere l’arte dell’osservazione perché siccome siamo coinvolti nel processo dell’esperienza e difficile osservare allo stesso tempo la mente che conosce e l’oggetto conosciuto. Osservare senza analizzare, interpretare, paragonare, giudicare è molto difficile e implica tanta disciplina.
Il pensiero è avido di conoscenza, di cogliere le cose e gli eventi e di catalogarli, etichettarli, pesarli, metterli in qualche categoria. Ecco perché la meditazione è importante, per aiutare l’uomo a de-condizionarsi, a de-programmarsi dall’ipnosi in cui vive. E per far questo bisogna educarsi quotidianamente ad osservare e a mantenere lo stato di osservazione il più a lungo possibile.
Quando lo stato di osservazione inizia ad essere mantenuto nelle nostre pratiche quotidiane, quando prepariamo la colazione, guardiamo le montagne innevate all’orizzonte, ascoltiamo il suono delle campane, sentiamo il calore del nostro corpo sotto abiti semplici e confortevoli, esso inizia ad estendersi ai sogni e ad infiltrarsi nel sonno, e non si tratta di poesia, è così. Accade.
“La meditazione è il rilassamento del sonno profondo nelle ore di veglia. La meditazione è un modo di vivere totale”.
Gianluca Minella
BIBLIOGRAFIA
Vimala Thakar, Discorsi sulla meditazione, Tratto dalla rivista “Yoga” n. 34;
Vimala Thakar, Pace radicale. La ricerca spirituale e il superamento della violenza, Ubaldini Editore, Roma, 1989.
Krishnamurti, Libertà Totale, Ubaldini, Roma, 1998.
Sri Nisargadatta Maharaj, Io sono quello, Ubaldini Editore, Roma, 2001.