Speranza e disperazione
La speranza ci consente di vedere la realtà con occhi non annebbiati e non oscurati dalle esteriorità e dalle consuetudini, dalle convenzioni e dalle ripetizioni, e ci consente di aprirci al futuro, liberandoci dalla ostinata prigionia del passato e del presente. Eugenio Borgna traccia un lucido percorso attraverso tappe della letteratura, da una parte, e del suo lavoro di psichiatra, dall’altra, sulle varie dimensioni della speranza. In perenne ascolto dei suoi pazienti e in dialogo serrato con Giacomo Leopardi e Cesare Pavese questo piccolo e delicato saggio ricostruisce l’esile figura di una delle forze e delle medicine più rivoluzionarie della vita: la speranza.
La speranza è la passione del possibile, l’infinita ricerca del senso della vita che rende tutto sopportabile e permette di non cadere nel suo contrario: la disperazione.
E del resto è proprio il suo contrario, la disperazione, a dare senso alla speranza come dice Giacomo Leopardi: “Insomma la disperazione medesima non sussisterebbe senza la speranza, e l’uomo non dispererebbe se non isperasse”. Speranza e disperazione sconfinano misteriosamente l’una nell’altra e molto spesso quando siamo immersi nel male oscuro della depressione e della disperazione improvvisamente può rinascere in noi la speranza, una scintilla che non abbandona mai l’uomo anche dopo la disgrazia e il dolore più buio e terribile.
La speranza nasce e muore quando vuole e in questo è assolutamente imprevedibile, come rivoluzionaria è la sua “dimensione sociale” in quanto “non si spera solo per sé, ma anche per gli altri” e nel fare questo ci si libera dalla solitudine dolora e autistica dell’isolamento.
La speranza è come un ponte che ci fa uscire da noi stessi, e ci mette in relazione senza fine con gli altri, con gli altri che hanno bisogno di un aiuto, talora solo di un sorriso o di una lacrima, di un saluto autentico che nasca dal cuore.
Eugenio Borgna dice di essere sempre stato affascinato dal tema della speranza, soprattutto come psichiatra che ha potuto ascoltare senza fine le esperienze dei suoi pazienti, delle loro angosce, le loro esperienze laceranti, gli smarrimenti e le disperazioni.
Eugéne Minkowsky in un suo testo dal titolo Il tempo vissuto, così parla della speranza:”Quando spero vedo l’avvenire venire verso di me. La speranza va più lontano nell’avvenire dell’attesa. Io non spero nulla né per l’istante presente né per quello che immediatamente gli subentra, ma per l’avvenire che si dispiega dietro. Liberato dalla norma dell’avvenire immediato, io vivo, nella speranza, un avvenire più lontano, più ampio, pieno di promesse. E la ricchezza dell’avvenire si apre adesso dinnanzi a me”.
Ed è proprio nella esperienza dialogica della relazione che nasce e si alimenta la speranza. Se la speranza non è aperta alla dimensione degli altri e al mondo allora non è speranza. La speranza ci rimette in un dialogo senza fine, in una continua relazione, con il mondo delle persone e delle cose, liberandoci dall’egemonia del passato e del presente, e le sue eclissi si accompagnano al dilagare delle notti oscure dell’anima con le loro inquietudini, e le loro angosce”.
Come dice sempre Minkowsky l’attesa “ingloba tutto l’essere vivente, sospende la sua attività e lo immobilizza angosciato […] contiene in se un fattore di arresto brutale che toglie il respiro. Si direbbe che tutto il divenire […] si avventi su di lui come una massa possente e ostile cercando di annientarlo, come un iceberg che si erge bruscamente davanti a al prua di una nave e contro il quale essa andrà facilmente a schiantarsi subito dopo […] L’attesa penetra così l’individuo fino alle viscere, lo riempie di terrore di fronte alla massa sconosciuta e inattesa che tra un attimo lo inghiottirà […] è una sospensione di quell’attività che è la vita stessa”
E talvolta apparentemente senza ragione sorge davanti a noi l’immagine della morte, della morte sospesa, in tutta la sua potenza distruttiva, sopra di noi che si avvicina a grandi passi, l’angoscia ci stringono; impotenti, attendiamo il fatale e prossimo annientamento al quale siamo votati senza scampo.
Il destino di ogni psichiatria e/o psicoterapia è volto a ridestare la speranza, dare parole a chi sta male, a chi è immerso nella tristezza, nella malinconia e nella disperazione.
L’inaridirsi dell’avvenire, lo svuotarsi degli orizzonti di vita, il vertiginoso ampliarsi del passato che come una voragine divora il presente rendendo il futuro vuoto e privo di senso sono i vissuti laceranti dell’esperienza depressiva che solo la speranza può liberare dalla dalle inquietudini e dallo smarrimento della solitudine e dall’isolamento, dall’angoscia della rassegnazione.
Quali parole e gesti, si chiede Eugenio Borgna, abbiamo nel cuore noi psicologi che ci confrontiamo con coloro che non hanno più la speranza? Le parole che curano, che aiutano coloro che sono naufragati nell’angoscia, nello sconforto e nella tristezza, sono le parole leggere, piene di calore e di gentilezza, parole consapevoli anche della loro ambilavenza.
“La speranza è declinazione esistenziale, immaginazione e destino, che dischiude dinnanzi a noi un futuro non mai prevedibile, e non mai programmabile”.
L’attesa e la speranza non si confondono l’una nell’altra. Ci sono attese che non finiscono mai, e attese che nascono e muoiono rapidamente. Ci sono attese che si rivivono con ansia e inquietudine, e attese che si rivivono invece con serenità; ci sono attese incentrate su avvenimenti felici, e attese incentrate su avvenimenti portatori di dolore e di angoscia; ci sono attese che sconfinano nella speranza, e attese che non hanno nulla a che fare con la speranza; ci sono attese che riguardano il nostro destino e attese che riguardano il destino di altre persone; ci sono attese che si rinnovano di giorno in giorno, e attese che continuano ad essere tali; e ci sono altre attese: attese terrene e attese metafisiche. Siamo in cammino nell’attesa di non essere divorati dalla inerzia e dalla noia.
E le attese possono associarsi a stati d’animo che sconfinano nella serenità e nella tranquillità, non solo all’ansia e all’angoscia, alla paura e alla disperazione.
Alleata all’attenzione che Simone Weil diceva essere preghiera, la speranza dilata i confini del possibile, è la passione del possibile. E non è una inclinazione ingenua dell’anima, incapace di distinguere le cose possibili da quelle impossibili, ma con gli occhi ardenti dell’immaginazione è intuizione dell’indicibile.
Mantenere viva la speranza aiuta sensibilmente a resistere alla sofferenza la dove i condizionamenti psicologici della malattia sono innegabili. La speranza ha una forza magnetica capace di aprirci agli altri e di rischiarare le notti oscure dell’anima alle quali non è facile fuggire.
Come diceva Goethe è una stella cadente che non finisce mai di cadere, e di illuminare il nostro cammino di vita.
E non ci sono certezze in psichiatria e psicoterapia, ma solo attese e speranze alimentate da parole che moderano le angosce dei pazienti e da atteggiamenti e sguardi che alimentino la speranza.
Nella Lettera di San Paolo ai Romani così risuonano le note parole della tradizione cristiana sulla speranza: “Nella speranza infatti siamo stati salvati. Ora ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza”
La speranza è fragile ma è l’unica via per liberare l’essere umano dalla solitudine.
Come ci fa notare Giacomo Leopardi: “Non si può vivere senza la speranza”.
Eugenio Borgna, Speranza e disperazione, Torino, Einaudi, 2020.