Simon Weil e la spiritualità del ‘900.

Nata a Parigi da genitori ebrei il tre febbraio 1899 e morì nel 1943 in Inghilterra, nel mezzo della seconda guerra mondiale.

Troviamo in lei pagine di luminoso amore per il mondo e per la vita, accanto ad altre di segno opposto. La si può paragonare a pittori come Caravaggio, Rembrant. Ma la contraddizione non è necessariamente un segno negativo, la vita è meraviglia e terrore allo stesso tempo e Simon Weil teorizza esplicitamente la contraddizione.

In suo scritto del 1941, si legge che “ogni pensiero filosofico contiene contraddizioni, ma ciò non è un’imperfezione ma una caratteristica essenziale, senza la quale non vi è che una falsa apparenza di filosofia. La vera filosofia non costruisce niente, il suo oggetto è già dato e sono i nostri pensieri. Essa ne fa soltanto l’inventario, se nel corso dell’inventario incontra delle contraddizioni non dipende da lei sopprimerle. Esse sono essenziali al pensiero.”

Simon Weil non era una persona che inizialmente coltivava la dimensione religiosa nella sua vita, al contrario; era in contatto con gli ambienti sindacali e politici di sinistra, con gli strati più umili della società tanto che abbandonò l’insegnamento per andare a lavorare in fabbrica, alla Renault (1934). Resistette solo un anno perché non portata per il lavoro fisico.

Aveva un profondo senso della giustizia. Nel frattempo il cammino spirituale si faceva via via più intenso fino ad avere una vera e propria esperienza mistica che nel 1938  fu descritta con la celebre frase “Cristo è sceso e mi ha presa.”

Una vera e propria folgorazione. Ma c’è differenza tra San Paolo e Simon Weil e tutti i convertiti: mentre i convertiti passano nella chiesa, Simon Weil scelse deliberatamente di non essere battezzata e di non entrare nella chiesa cattolica, perché la sua vocazione era fuori da essa.

Perché? Perché la chiesa non è cattolica di fatto come lo è di nome. Secondo lei ciò che manca alla chiesa cattolica romana è proprio l’essere pienamente universale, cioè di essere in grado di abbracciare tutti gli esseri umani di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Simon Weil non volle il battesimo perché non accettava la condizione settaria che l’essere cattolici comporta, separando chi vi aderisce dal resto dell’umanità. Questo è il grande paradosso della chiesa cattolica.

L’amore per il mondo in Simon Weil si traduce in amore per gli uomini di tutti i tempi, nell’idea che si deve prendere sul serio che Dio è padre di tutti gli uomini e, quindi, è possibile la salvezza per tutti gli uomini di tutti i tempi. Questo è il cuore della spiritualità di Simon Weil: se Dio è padre di tutti gli uomini, la redenzione è presente fin dalle origini. Cristo è presente ovunque ci sia un crimine o una sventura, e questa universalità non vale solo per i fedeli delle altre religioni ma anche per gli atei e gli agnostici nella misura in cui le loro azioni e i loro pensieri sono abitati dalla giustizia, dalla rettitudine, dall’amore per il bene e per la verità. Occorre riformulare la teologia alla luce di questo assunto, cioè che la salvezza divina è per ogni uomo di ogni tempo.

Per Simon Weil la fede si esprime praticamente  per mezzo di un retto pensiero sul mondo e della retta azione in esso: questo significa credere in Dio.

L’oggetto della sua ricerca era il mondo, mentre il mondo soprannaturale era la luce per leggere adeguatamente i fenomeni del mondo e la logica che li lega. Quindi, credere in Dio non significa professare dottrine o partecipare a riti particolari. Il banco di prova? L’atteggiamento pratico verso gli altri esseri umani; lei lo chiama “obbligo” nel senso di una relazione non a scopi  di utilizzo, di strumento, ma la persona è il fine stesso (come diceva anche Kant). In questo modo si entra nella dimensione dell’eterno, dove amore per Dio e amore per il mondo sono la stessa cosa.

La figura di Simon Weil è una profonda provocazione nei confronti della chiesa cattolica che, se non si mette in discussione e accoglie questa provocazione, corre il rischio di diventare un fenomeno di divisione dell’umanità, corre il rischio di non essere fedele al suo statuto (quello di essere universale).

Ciò che il nostro tempo chiede oggi alla chiesa è questa apertura totale dell’anima, una capacità di abbracciare tutte le religioni, tutte le dimensioni, tutte le spiritualità. Questo comporterà una rifondazione della fede e della chiesa altrimenti l’occidente andrà per una strada diversa e la frattura tra gli uomini e la chiesa sarà destinata a diventare sempre più grande.
 
Vito Mancuso, tratto dal programma, Damasco, Il terzo Anello, di RAI radio 3