Racconti di un pellegrino russo.

“Per misericordia di Dio sono uomo e cristiano, per opere
gran peccatore, per vocazione pellegrino senza dimora,
del ceto più umile, che va forestiero di luogo in luogo.
I miei averi sono una bisaccia di pan biscotto sulle
spalle, e in seno la sacra Bibbia, ecco tutto”.

 
I “Racconti di un pellegrino russo” hanno permesso ad un vasto pubblico di conoscere la preghiera di Gesù.

Apparsa per la prima volta nel 1870, ripubblicata a Kazan’ nel 1884, quest’opera anonima ha origini sconosciute.

È probabile che sia stata copiata dal padre Paisij (1883), superiore del monastero di San Michele dei Ceremissi a Kazan’, da un manoscritto posseduto da un monaco russo dell’Athos. Secondo altre fonti, verso il 1860 il manoscritto si sarebbe trovato tra le mani di una monaca diretta dallo starec Ambrogio, del famoso eremo di Optina Pustyn’. Tra le carte dello starec sono stati trovati altri tre Racconti, pubblicati in Russia nel 1911. Questi tre ultimi Racconti si distinguono da quelli della prima raccolta per il carattere maggiormente didattico.

Il pellegrino, all’età di trent’anni, avendo perduto tutto, entra una domenica in una chiesa dove ode questa frase di san Paolo:

« pregate incessantemente ».

L’esortazione lo induce a mettersi in cammino per cercare il significato profondo di quella indicazione preziosa. Il  pellegrino finisce con l’incontrare uno starec che, sottoponendolo a una dura ascesi, gli insegna alcuni rudimenti della preghiera di Gesù. Poco prima di morire, il padre spirituale lascia al discepolo un esemplare della Filocalia. Il libro diventa, unitamente alla Bibbia, una riserva di nutrimento spirituale e un sostegno morale del viaggiatore, che d’ora in poi sa verso quale meta volgersi.

La luce d’Oriente, sebbene invisibile, fa da guida al suo errare. Al «vegliare e pregare » corrisponde il « marciare e pregare » del pellegrino il quale, sempre più amante della solitudine e del silenzio, accetta con umiltà di aiutare tutti coloro che sentono in lui l’energia di un essere proiettato verso il cielo.

La grazia riempie il cuore del pellegrino e gli consente di vedere il mondo con occhi nuovi. La fatica del cammino e il tormento della fame scompaiono grazie all’invocazione del nome di Gesù, che finisce coll’essere tutt’uno con la respirazione. « Se qualcuno mi offende, non ho che da ricordare la dolcezza della Preghiera di Gesù: umiliazione e collera scompaiono, dimentico tutto. Non ho preoccupazioni, non interessi. Alle cure del mondo non concederei uno sguardo. […] Dio sa che cosa mi sta succedendo! »

Abbandonatosi a Dio,  s’incammina verso la propria liberazione. Poco dopo il pellegrino avverte nel cuore un piacevole senso di calore e, perché non si tratti di illusione psichica, verifica se tale effetto della continua preghiera sia stato constatato nella Filocalia. Lungo i sentieri di campagna egli scopre in sé uno sguardo nuovo, più penetrante e attento alle cose:

«La Preghiera del cuore, mi donava una tale gioia che mi sembrava di essere l’uomo più felice della Terra e non comprendevo come ci possa essere una beatitudine maggiore nel Regno dei cieli. Non solo provavo questo sentimento dentro di me, ma anche l’intero mondo esterno mi appariva in un aspetto incantevole. Ogni cosa mi induceva ad amare e ringraziare Dio, uomini, alberi, animali: tutto mi sembrava familiare e trovavo ovunque l’immagine del Nome di Gesù Cristo»

“Gli alberi, l’erba, gli uccelli, la terra, l’aria, la luce, tutto sembrava dirmi che ogni cosa esiste per l’uomo, testimonia l’amore di Dio per lui, e tutte le cose pregavano e cantavano Dio e la sua gloria. Così compresi quello che la Filocalia chiama ‘la conoscenza del linguaggio di tutte le creature’”.

Nel suo vagabondaggio di preghiera, il pellegrino gioisce dell’unione della propria preghiera con quella del cosmo. Continua è la liturgia cosmica, e lentamente essa si disvela, scompare la cispa che ingrombra l’occhio del cuore, l’alba eterna diventa una realtà.

Lo starec Zosima, descritto da Dostoevskij ne “I fratelli Karamazov” dice ” […] il Verbo è per tutti, per ogni creazione e ogni creatura, poiché ad esso si protende ogni piccola foglia”.

La Preghiera del cuore ha avuto un apprezzamento e incoraggiamento patibolare da Giovanni Paolo II, il quale nell’Angelus dell’11 agosto e del 3 novembre 1996 disse: “Con speciale predilezione, gli Autori spirituali suggeriscono la Preghiera del cuore, che consiste nel saper ascoltare in un silenzio profondo ed accogliente la voce dello Spirito”.

Anonimo, Racconti di un pellegrino Russo, Rusconi Editore, 1977