Freud e Jung tra casualismo e finalismo.

“Quel che si trova nell’effetto
è già nella causa”,
Henri Bergson

 

Freud nasce come un neurologo che si forma all’interno del paradigma medico-scientifico e la sua prospettiva è guidata sin dall’inizio dall’intenzione di fondare una scienza e in particolare una scienza naturale. Jung, che dalle premesse fondamentali della psicoanalisi è partito, essendo stato per anni un entusiasta collaboratore di Freud, ha successivamente maturato il distacco dalla società psicoanalitica viennese per fondare via via una visione sempre più autonoma rispetto a quella dell’ortodossia psicoanalitica.

Nella prima trattazione di Jung dedicata ai sogni scritta nel 1909 con il titolo “L’analisi dei sogni” (1), l’adesione al metodo psicoanalitico è ancora totale: la psicoanalisi è “un prezioso strumento per la risoluzione o il controllo delle più ostinate resistenze” (2) . In questo scritto viene illustrato il metodo psicoanalitico e riportato anche un frammento di seduta psicoanalitica con la conclusione che la psicoanalisi “rappresenta un notevole aiuto non solo per comprendere i sogni, ma anche per capire l’isteria e la maggior parte delle più importanti malattie mentali” (3).

Jung espone, di fatto, le idee di Freud con l’ardore di un discepolo che vuole promuovere la nuova scienza dei sogni: si sofferma sull’importanza di non confondere il “contenuto manifesto del sogno” e cioè la facciata, dal “contenuto latente” che ne costituisce l’essenziale e sottolinea come l’ipotesi di Freud si fondi “sull’esperienza generale che nessun fatto psichico (o fisico) è di natura casuale. Esso dovrà perciò inserirsi nella sua catena di causalità, dato che è sempre il prodotto di una complicata combinazione di fenomeni” (4) . Il sogno, dice Jung,

“non è affatto un confuso miscuglio di associazioni casuali e assurde, come si ritiene generalmente, e neppure una semplice conseguenza di stimoli somatici durante il sonno, come molti credono, ma un prodotto autonomo e significativo dell’attività psichica e, come tutte le altre funzioni psichiche, è suscettibile di analisi sistematica. […] il sogno è, come ogni prodotto psichico complesso, una creazione, un’ opera che ha i suoi motivi, le sue connessioni associative […] è la conseguenza di un processo logico, di una lotta concorrenziale di diverse tendenze tra le quali alla fine una riporta la vittoria” (5) .

Alle spalle di queste considerazioni ci sono già molti anni di psicoanalisi, nel corso dei quali la teoria psicoanalitica ha sviluppato l’idea che il sogno, come le fantasie isteriche, i ricordi di copertura e il sogno ad occhi aperti siano prodotti complessi, produzioni caratterizzate da un suo linguaggio specifico che può essere decifrato e interpretato come fosse un enigma da sciogliere o da risolvere.

L’anno successivo, in un altro saggio dedicato ai sogni, Jung ribadisce che “sono ben poche le novità sostanziali da aggiungere alla trattazioni di Freud, Adler e Stekel” (6) . Il metodo proposto è quello associativo, viene ribadito il concetto di censura e del sogno come realizzazione del desiderio. L’immagine del “fico sterile” che compare nel caso clinico di una signora sposata è interpretata da Jung come una “ovvia” allusione al genitale del marito impotente, dimostrando la sua aderenza ad una visione simbolica ancora riduttiva, rigida e stereotipata.

Il saggio dello stesso anno “Recensione critica a Morton Prince”, segna il massimo contributo combattivo di Jung al fianco di Freud in difesa della psicoanalisi. Non dimentichiamo che l’anno precedente Freud lo aveva designato presidente della “Società Psicoanalitica Internazionale” e in una lettera del febbraio 1908 lo aveva definito “figlio ed erede” . Jung era redattore dello Jahrbuch fur psychoanalytische und psychopathologische Forschungen (Annali di Studi psicoanalitici), la prima rivista di psicoanalisi fondata da Freud (1909), su cui questa stessa recensione a Morton Prince apparve. Dissentendo con il collega americano, Jung riafferma in questo scritto la incontrovertibilità del principio freudiano secondo il quale il sogno è sempre la realizzazione di un desiderio, attraverso l’analisi di sei sogni nei quali, partendo dalla dimostrazione di varie lacune nelle analisi fin li condotte, arriva addirittura ad affermare come questi sogni siano di fatto sogni di transfert da cui l’analista si sta difendendo, una accusa che poi la scuola psicoanalitica viennese muoverà più avanti proprio allo psichiatra svizzero.

Fino a questo punto l’adesione alle teorie psicoanalitiche sembra senza riserve. Non possiamo tuttavia fare a meno di notare la presenza di qualche elemento di originalità, a partire dal titolo del saggio che recita “analisi dei sogni” e non “interpretazione dei sogni” e l’utilizzo della concezione di “complessi ideo-affettivi” come di contenuti psichici a forte tonalità affettiva e distinti dal nucleo dell’Io definiti anche in modo poetico “ardenti desideri dell’anima” (7), che costituiscono il contenuto nascosto del sogno e di cui il sogno si fa carico di esprimere con quelle che potremo definire, le sue strategie secondarie.

Con la pubblicazione, nello stesso anno, della prima parte di “Wandiungen und Symbole der Libido“, assisteremo al distacco dottrinale da Freud che culminerà nel congresso di Monaco del 1913 e che condurrà nel 1914 alle dimissioni di Jung da tutte le cariche fin li ricoperte, nonché all’allontanamento definitivo, anche come membro, dalla società psicoanalitica viennese. Nella prefazione al Collected Papers on Analytical Psychology, il volume che venne pubblicato a Londra nel 1916 come raccolta degli scritti e articoli di Jung più importanti fino a quel momento, si parlerà di “scuola zurighese” di psicoanalisi come di un metodo non soltanto analitico-interpretativo e quindi causale-riduttivo, ma anche sintetico-prospettico, nella convinzione che la psiche umana è caratterizzata da fini oltre che da cause. Uno degli scritti più interessanti e originali che compare in questa raccolta è intitolato “The Psychology of Dreams” (8) . In questo saggio Jung introduce la prima grande novità della sua “teoria della psiche” e lo fa proprio nell’analisi dei sogni.

Come il sogno possederebbe una certa continuità rivolta prevalentemente all’indietro e cioè a pensieri, stati d’animo e impressioni dei giorni precedenti e quindi passati

“non sarà certo sfuggito a nessuno, tra quanti dedicano al problema del sogno un interesse sufficientemente vivace, che il sogno possiede anche una continuità rivolta in avanti […]” (9) .

La portata innovativa è quella di introdurre, nella comprensione di ogni accadimento psichico e quindi anche del sogno, accanto al punto di vista causale, la prospettiva finalistica:

“Quando si vuole spiegare un fatto psicologico, bisogna ricordare che l’elemento psicologico esige d’essere considerato da un doppio punto di vista: quello causale e quello finalistico” (10) .

Non si tratta della negazione della prospettiva causalistico-deterministica, che vede il sogno come espressione di un desiderio, ma della possibilità di vedere il sogno anche in un altro modo, come un fenomeno in grado di agire con un orientamento rivolto al futuro.

“La considerazione finalistica del sogno che io contrappongo alla concezione freudiana significa, intendo affermarlo esplicitamente, non una negazione delle causae del sogno, ma una diversa interpretazione dei materiali raccolti in riferimento al sogno. I fatti, cioè i materiali rimangono i medesimi; quello che cambia è il metro con il quale li si misura. La questione può essere enunciata semplicemente così: a che serve questo sogno? Che effetto vuole ottenere? […] qual è la ragione e qual è il fine, perché ogni struttura organica consiste in una costruzione complicata di funzioni finalizzate, e ogni funzione va disgiunta anche in una serie di fatti singoli orientati secondo un fine” (11) .

In questa direzione, come vedremo meglio in seguito, il sogno può assumere, a parere di Jung, anche un’importante funzione compensatrice come spiega citando il sogno biblico di Nabucodonosor narrato nel quarto capitolo del libro del profeta Daniele e interpretato correttamente dallo stesso Daniele come un tentativo di compensazione del “delirio dei Cesari”.

“Sono quindi giunto alla persuasione che la concezione freudiana, secondo la quale i sogni avrebbero una funzione essenzialmente volta ad appagare i desideri e a conservare il sonno, è troppo angusta, anche se l’idea fondamentale – quella di una funzione biologica compensatrice – è sicuramente esatta. Questa funzione compensatrice ha poco a che fare con lo stato di sonno in sé, e il suo significato fondamentale invece è in rapporto con la vita cosciente. I sogni si comportano in maniera da compensare la situazione cosciente di volta in volta presente” (12) .

Ci troviamo tuttavia ancora all’interno del punto di vista medico delle scienze naturali. Cambia solo il tipo di lente adoperata per inquadrare la psiche, i fenomeni attraverso cui si manifesta e in primo luogo il sogno:

“come il corpo reagisce anch’esso finalisticamente a ferite o infezioni o a modi di vita abnormi, anche le funzioni psichiche reagiscono, con mezzi di difesa adeguati, a disturbi innaturali e pericolosi. Il sogno rientra a mio parere tra queste reazioni finalizzate, poiché – in una determinata situazione della coscienza – esso apporta alla coscienza il materiale inconscio, costellato in una combinazione simbolica” (13) .

Il sogno avrebbe quindi la funzione di preservare non tanto il sonno, quanto l’equilibrio del sistema psichico in quanto occorre rilevare che

“l’orientamento finalistico dell’inconscio non corre affatto parallelamente alle intenzioni coscienti; di norma il contenuto inconscio è addirittura in contrasto con il contenuto della coscienza e questo succede specialmente quando l’atteggiamento cosciente si muove in una direzione troppo esclusiva, che minaccia di diventare pericolosa per le necessità vitali dell’individuo. Più l’atteggiamento cosciente è unilaterale […] più è possibile che sogni vivaci dal contenuto fortemente contrastante, ma capaci di realizzare una compensazione finalistica, affiorino come espressione dell’autogoverno psicologico dell’individuo” (14).

E per noi importante rilevare questa virata ermeneutica rispetto alla teoria freudiana, in seguito alla quale viene a porsi in essere un radicale cambiamento del rapporto tra inconscio e coscienza. Mentre nella teoria freudiana questi due piani stanno in un rapporto di sostanziale e connaturata incomunicabilità, garantita dall’incessante opera della censura e del lavoro onirico, nella teoria junghiana questi due mondi invece comunicano e stanno tra loro in un incessante rapporto compensativo. La dove nella visione freudiana l’inconscio comunica con la coscienza mediante enigmi, nella nascente psicologia analitica questi due differenti piani dell’essere, come avremo modo di sottolineare ampiamente, si dicono la verità.

A partire da questo cambiamento di rotta operato da Jung nel confronti della psicoanalisi viennese fin li abbracciata senza troppe riserve, possiamo  iniziare a tracciare una nuova e originale “rotta” ermeneutica.

 

Gianluca Minella


Note:

  1. JUNG C. G., L’analyse des rȇves; trad. it. L’analisi dei sogni(1909), in Opere Vol. IV, Freud e la Psicoanalisi, Boringhieri, Torino, 1973.
  2. ibidem, p. 46.
  3. ibidem, p. 49.
  4. ibidem, p. 42.
  5. ibidem.
  6. JUNG C. G., Ein Beitrag zur Kenntnis des Zahlentraumes; trad. it. Contributo alla conoscenza del sogno di numeri(1910-11), in Opere Vol. IV, Freud e la Psicoanalisi, Boringhieri, Torino, 1973,p. 69.
  7. JONES E., The life and work of Sigmund Freud; tr. it, Vita e opere di Freud, Il saggiatore, Milano, 1962, Vol. II, p. 54.
  8. Oggi raccolto nelle opere  con il titolo rivisto nelle edizioni del 1928 e 1936:  JUNG C. G., The Psychology of Dreams; trad. it. Considerazioni generali sulla psicologia del sogno (1916, 1928, 1948),in Opere Vol. VIII, La dinamica dell’inconscio, Boringhieri, Torino, 1976.
  9. JUNG C. G., Considerazioni generali sulla psicologia del sogno, p. 255.
  10. ibidem, p. 59.
  11. ibidem, p. 261
  12. ibidem, p. 270.
  13. ibidem, p. 271.
  14. ibidem.