Lettera a un bambino gravemente ammalato, di Elisabeth Kübler-Ross

Elisabeth Kübler-Ross (1926-2004) ha cambiato il modo di concepire la morte nel mondo occidentale moderno e ha contribuito all’umanizzazione di questo evento. Ci ha insegnato ad affrontare la morte con la sua celebre teoria sulle fasi del lutto ricordandoci che non è poi così terribile per chi ci lascia.

Ci ha così donato un’eredità dal valore innegabile e sempre attuale. Svizzera di nascita, medico psichiatra, nel corso della sua vita ha ricevuto moltissime onorificenze e riconoscimenti per il suo inestimabile lavoro. In un documentario che mostra gran parte del suo lavoro, si può osservare il modo in cui la Dottoressa Ross accompagnava i bambini morenti e i malati terminali nei loro ultimi momenti di vita.

Era dotata di una sensibilità immensa, e il modo in cui infondeva sollievo e speranza a chi se ne andava e a chi rimaneva ha fatto la storia.

È stata persino soprannominata la “madre della morte”, ma in realtà è stata la “madre della vita”, in quanto ci ha insegnato che la morte fa parte dell’esistenza umana e ci ha esortato a vivere a pieno l’esperienza umana perché chi ha vissuto con pienezza così come non ha avuto paura di vivere non avrà paura di morire. Vivere pienamente infatti significa non avere questioni in sospeso.

 

“Un paio di anni fa venni in Virginia a visitare un bambino di nove anni che stava morendo di cancro. E prima di lasciarlo gli dissi che probabilmente aveva molte domande. “Non potrò venirti a trovare spesso in Virginia”, gli feci, “ma se hai qualche domanda scrivimi?”

Un giorno ricevetti una sua lettera. Era di due righe: “Cara Dottoressa Ross mi resta soltanto una domanda. Che cosa è la vita e che cosa è la morte e perché i bambini devono morire? Con affetto, Dougy”.

Capite perché ho un debole per i bambini? Tagliano corto con i salamelecchi. E così gli risposi con una lettera. Non potevo scrivergli grandi concetti. Dovevo usare il suo stesso linguaggio.

Così presi una bella scarola di pennarelli a 28 colori, i colori dell’ arcobaleno. Siccome la lettera non mi sembrava ancora abbastanza bella iniziai anche a illustrarla. Poi, quando fu finita, mi piaceva così tanto che avrei voluto tenermela.

Razionalmente mi dicevo: “Ma sì che puoi tenerla, è un tuo diritto ci hai lavorato tanto, e poi tra poco saranno le cinque e la posta sarà chiusa. I tuoi figli torneranno da scuola e sarà meglio cominciare a preparare da mangiare” e altre scuse del genere. Più si allungava la lista delle scuse, più sapevo che non era giusto.

Così dissi: “E io che me ne vado in giro a insegnare di fare la scelta più nobile. Qual è la mia adesso? È di andare immediatamente all’ufficio postale e spedirla, perché I’ho scritta per lui e non per me”. E Così feci. Dougy ne fu molto orgoglioso e felice.

La fece vedere a molti altri bambini in ospedale. E già questo, di per sé, sarebbe stato bello. Cinque mesi più tardi, in marzo, la sua famiglia, pur molto povera, mi fece una chiamata interurbana. Dougy venne al telefono e disse: “Dottoressa Ross, oggi è il mio compleanno.

Lei è I’unica che ha avuto abbastanza fiducia e ha creduto che avrei festeggiato un altro compleanno. E quindi voglio farle un regalo. Ma non riuscivo però a trovare qualcosa per lei, perché noi non abbiamo niente.

L’unica cosa che mi è venuta in mente era di rispedirle la sua bellissima lettera. A una condizione, però! A una condizione: che lei la faccia pubblicare e la renda disponibile agli altri bambini che stanno morendo”.

Mi passarono per la testa tantissime cose: sarà costoso, ventotto colori per ogni pagina, quadrante intellettuale, svizzera parsimoniosa, come farà a permetterselo la gente.

Tutto questo stava interferendo dentro di me, così dissi: ‘No! A pensieri simili. E optai per la scelta più nobile. È proprio vero: se dai senza aspettative, riceverai diecimila volte tanto.

Questo è successo quattro anni e mezzo fa. Quando Dougy morì la “Lettera di Dougy” aveva già raggiunto diecimila bambini in punto di morte”.

  Lettera a un bambino gravemente ammalato

Elisabeth Kubler Ross, La morte è di vitale importanza, Armenia, Milano, 1999, pp. 149-150