La tregua di Natale del 1914. Lettere dal fronte.

A fine dicembre del 1914, sul fronte occidentale, a Ypres, nelle Fiandre in Belgio, successe qualcosa di straordinario.

La guerra 296 era iniziata da parecchi mesi e gli inglesi erano impegnati a contrastare l’avanzata tedesca. Nell’estate l’Europa era divenuta teatro di una conflitto che vedeva combattersi da una parte Gran Bretagna, Francia e Russia e dall’altra Germania, Austria-Ungheria e Turchia.

Più tardi sarebbero entrati nel conflitto anche Bulgaria, Giappone, Italia e Stati Uniti oltre ad una serie di paesi minori rendendo così lo scontro di portata mondiale. Dopo una cruenta e sanguinosa battaglia, a fine autunno, gli eserciti si trovarono impantanati qui e altrove in una estenuante guerra di logoramento tutta combattuta nelle trincee, in fossati profondi un paio di metri rinforzati da tavole di legno.

Quotidianamente i soldati si lanciavano all’assalto del nemico, guadagnando o cedendo ogni volta pochi metri di terreno e trascorrendo il resto della giornata tra il fango, la pioggia e i cadaveri dei propri compagni in decomposizione che non riuscivano nemmeno più a seppellire. In quella striscia desolata che separava i due eserciti, avvenne qualcosa di imprevisto e inaspettato, senz’altro favorito dalle condizioni precarie in cui si trovavano i due eserciti: i soldati iniziarono a scambiarsi alcuni favori come per esempio non aprire il fuoco durante i pasti o fare arrivare alle linee nemiche piccoli pacchi dono, perché era pur sempre Natale !

In quella terra di confine, piena fango, di cadaveri, armi, colpi inesplosi ma soprattutto desolazione, nello spazio che separava gli inglesi dai tedeschi, avvenne qualcosa che nessuno di noi ha studiato a scuola sui libri di storia:

“semplici soldati, che non avevano fatto altro che combattersi per mesi in una guerra orribile, hanno abbassato i fucili, attraversato disarmati la terra di nessuno e stretto la mano al nemico”

Anche se per i comandi quella tregua fu un atto di insubordinazione, soldati tedeschi e inglesi si scambiarono doni e auguri invece che pallottole, giocarono partite di calcio invece che spararsi, seppellirono i propri morti 300, mangiarono, fumarono e cantarono insieme invece che lanciarsi granate.

Mentre le tenebre calarono sul campo di battaglia i soldati tedeschi accesero le candele sulle migliaia di alberi di Natale che furono inviati al fronte per offrire un conforto ai combattenti e cominciarono ad intonare canti di Natale. In una trincea qualcuno cominciò ad intonare la canzone Stille Nacht (Silent Night per gli inglesi). I soldati inglesi furono sbigottiti: uno di loro, affacciatosi oltre il bordo della trincea, disse che le linee nemiche illuminate sembravano “le luci della ribalta di un teatro” tanto che risposero con un applauso, dapprima timido, poi sempre più scrosciante.

Poi cominciarono a intonare le proprie canzoni come replica ai canti dei nemici tedeschi che li applaudono a loro volta. Il soldato tedesco Kurt Zehmisch, la cui testimonianza fu raccolta da Stanley Weintraub che negli anni ’80 ricostruì la vicenda raccogliendo numerose testimonianze 302, narra così la sua esperienza:

“Quando addobbammo gli alberi e accendemmo le candele, dall’altra parte giunsero fischi di gioia e applausi […] Poi cantammo tutti e quanti assieme”.

Al momento di andare a dormire un po’ tutti erano ormai convinti che qualcosa di straordinario stesse per verificarsi: all’alba i tedeschi esposero infatti piccoli cartelli con le scritte “Buon Natale” e “Non sparate, noi non spariamo”. Era il segnale d’inizio.

Ricominciarono i canti e gli applausi, poi dalla trincea tedesca uscì un uomo: nella nebbia gli inglesi lo intravidero appena, quanto bastava per notare che era disarmato. I britanni increduli uscirono dai loro ripari e si incamminarono verso i tedeschi, che fecero altrettanto: “ho visto la cosa più straordinaria che si possa vedere: stavamo per sparare a quel tedesco […] e poco dopo eravamo tutti in festa”, scrisse il soldato inglese Dougan Charter in una lettera alla famiglia.

I due schieramenti prepararono allora una festa in grande stile “Fritz portò sigari e brandy, Tommy della carne di manzo e sigarette” canta Mike Anding nella sua canzone come è scritto anche nel diario di campo del 133° reggimento sassone.

Ci fu persino chi si fece fotografare in gruppo: “non vi su un solo momento di odio: per un po’ nessuno pensò più alla guerra”, disse il soldato Bruce Bairnsfather.

Scene da film che si ritroveranno in Joyeux Noel 303, pellicola del 2005 di Christian Carion. Una struggente canzone folk dell’artista inglese Mike Harding così canta: “I fucili rimasero in silenzio […] senza disturbare la notte. Parlammo, cantammo, ridemmo […] e a Natale giocammo a calcio insieme, nel fango della terra di nessuno”. In alcuni casi la tregua durò fino a Capodanno, ma quasi dovunque tutto finì la sera stessa di Natale.

Il soldato semplice George Eade così ricorda: “Un tedesco mi sussurrò con voce tremante: oggi abbiamo avuto la pace, tu combatterai per il tuo Paese e io per il mio. Buona fortuna”. Ben presto il miracolo finì: “Ci salutammo e rientrammo nelle trincee […] poi udimmo dei colpi […] la guerra era ricominciata” ricorderà malinconico il capitano inglese J. C. Dunn.

I comandi dei rispettivi eserciti non ebbero invece alcuna nostalgia e si diedero da fare perché quelle tregue non si ripetessero, per evitare ulteriori e pericolosi contagi empatici, minacciando la corte marziale per chiunque avesse avuto contatti con il nemico e censurando quindi l’accaduto. Nel 1915 la guerra riprese più dura che mai e negli anni successivi Ypres fu famosa per i bombardamenti con armi chimiche che coinvolsero anche la popolazione civile. Un secco comunicato alle truppe dei britannici ci restituisce il diverso punto di vista degli alti comandi: “Mai più tregue, partite di calcio incluse […]. In guerra non bisogna mai interrompere l’uccisione del nemico”.

Tuttavia la tregua del 1914 fu unica nel suo genere anche per la sua estensione e per la sua durata, visto che in alcune zone si protrasse per giorni o addirittura settimane.

Ci sono testimonianze di tedeschi che avvertirono gli inglesi di tenere giù la testa mentre i generali passavano a controllare che i tedeschi stessero continuando a sparare al nemico. Anche se controllati, molti soldati semplicemente continuarono a sparare alle stelle. Tuttavia non tutti si comportarono in questo modo.

Un caporale tedesco, che aveva passato la notte nei sotterranei di un’abbazia vicino a Ypres, quando seppe che alcuni dei soldati tedeschi avevano stretto la mano agli inglesi, scrisse nel suo diario: “Dove è andato a finire l’onore dei tedeschi?”. Il diario sarebbe stato pubblicato alcuni anni più tardi, con il titolo Mein Kampf e il nome del suo autore era Adolf Hitler 304.

La tregua di Natale appare nel video della canzone Pipes of Peace di Paul McCartney (1983), nel film Oh, che bella guerra! di Richard Attenborough (1969), nelle composizioni di alcuni cantautori e in altre opere teatrali. Jeremy Rifkin dedica a questo evento l’apertura del suo celebre saggio la Civiltà dell’empatia 305 facendo queste considerazioni:

“Si suppone che il campo di battaglia sia il luogo in cui l’eroismo si manifesta attraverso la disponibilità a uccidere ed essere uccisi per una nobile causa, che trascende la vita quotidiana. Questi uomini, invece, scelsero di mostrare un altro tipo di coraggio: si avvicinarono reciprocamente al dolore personale, cercando sollievo nella condivisione della sofferenza. Attraversando la terra di nessuno si mischiarono gli uni con gli altri. […] Fu senza dubbio un momento di altissima umanità”.

Carl Gustav Jung nella Psicologia dell’Inconscio (1912-43) affronta il grande “problema dell’inconscio, così importante e attuale […] che tocca da vicino ognuno di noi” , allora come oggi, “dell’inconscio caotico che sonnecchia sotto il mondo ordinato della coscienza”. La guerra “ha mostrato spietatamente all’uomo civile che egli è ancora un barbaro” perché il conflitto alberga dentro ognuno di noi in quanto: “la psicologia del singolo corrisponde alla psicologia delle nazioni. Ogni singolo individuo fa ciò che fanno le nazioni, e fin quando lo fa l’individuo, lo fa anche la nazione. La psicologia della nazione può cambiare soltanto se cambia l’atteggiamento dell’individuo. I grandi problemi dell’umanità non sono mai stati risolti da leggi generali, ma sempre e soltanto da un mutato atteggiamento del singolo”.

E alla fine del conflitto mondiale sempre Jung pronuncia parole illuminanti che suonano tanto attuali:

“La visione di questa catastrofe risospinge su sé medesimo l’uomo, nel sentimento della sua totale impotenza; lo induce a guardare dentro di sé e, poiché tutto oscilla e sembra lì lì per crollare, l’uomo cerca qualcosa a cui appigliarsi. Sono ancora molti, troppi coloro che cercano al di fuori; alcuni credono all’illusione della vittoria e della forza vittoriosa, altri confidano nei trattati e nelle leggi, altri ancora sperano nella distruzione dell’ordine esistente. Troppo pochi invece cercano al didentro, nel proprio Sé, e troppo pochi si domandano se il miglior servizio che si può rendere alla società umana non consista dopo tutto nel cominciare da sé stessi, applicando prima e unicamente alla propria persona e nel proprio foro interiore il sommovimento dell’ordine esistente, le leggi, le vittorie di cui va cianciando ad ogni angolo di strada, anziché pretendere di imporle ai propri simili. Il singolo individuo ha bisogno di un rivolgimento, di una rottura interna, di staccarsi da ciò che già esiste per rinnovarsi, ma non deve imporre tutto ciò ai suoi simili sotto il manto ipocrita del cristiano amor del prossimo o del senso di responsabilità sociale, e delle altre belle parole con cui copre inconsci bisogni personali di potenza. Conoscenza di sé, ritorno del singolo al fondo dell’essenza umana, alla propria essenza e alla certezza individuale e sociale di questa, ecco il modo per cominciare a guarire dalla cecità che predomina nell’ora attuale”.

Del Bono Alberto, La tregua di Natale. Lettere dal fronte. Natale 1914: una storia sorprendente nel racconto dei soldati che ne furono protagonisti, Lindau, Torino, 2014.