La salute del manager. Strategie per il benessere ed il successo dell’azienda.
Stress cronico, solitudine, sovraccarichi di lavoro: ne soffrono quasi la totalità di manager, leader e lavoratori in genere, che travolti dai ritmi frenetici del quotidiano si trascurano e non cercano di mettervi rimedio.
La salute ha un profondo impatto sulle organizzazioni moderne. Non considerarla può portare conseguenze anche gravi come malattie quali depressione e disturbi relazionali che influiscono negativamente sulla vita del singolo, su quella di colleghi e familiari e sulla performance aziendale. Questo libro autorevole e originale non si limita a mettere “il dito nella piaga” ma attraverso esempi, casi e testimonianze: fornisce alle imprese e a chi ci lavora soluzioni concrete (dagli esercizi individuali alle politiche organizzative) per salvarsi la vita e la performance.
Una eccessiva identificazione nel pensiero logico-razionale non aiuta a gestire senza stress la complessità, a convivere con l’incertezza e i paradossi. Nel luogo dove spendiamo la maggior parte del nostro tempo stanno venendo meno due requisiti che lo rendevano attraente: senso di appartenenza e prospettive di carriera. Se fino a ieri era anche una fonte di identità, oggi si stenta a “ritrovare se stessi” in azienda.
I posti di lavoro diventano anonimi e intercambiabili. Nemmeno l’orgoglio del made in Italy riesce a trattenere i talenti. Il bisogno di trovare un senso al proprio lavoro è diffuso e impellente. Emerge nelle sessioni di coaching, counseling, sostegno psicologico e spicoterapia quando le persone si aprono: è allora che i bisogni più profondi vengono allo scoperto e prendono un nome che non ha più reticenze.
C’è chi lo chiama “forza interiore”, chi “energia vitale” e chi “spiritualità”, ma tutti si riferiscono allo stesso fine: la ricerca di un senso più alto, nel lavoro come nel privato, che aiuti a sopportare le difficoltà del momento, ad allentare la tensione, a saper guardare oltre i beni materiali, che peraltro scarseggiano, a ritrovare un significato che renda tollerabile l’incertezza recuperando fiducia nel futuro. A questo bisogno le aziende rispondono con difficoltà.
C’è chi giudica la questione troppo privata per essere affrontata dall’azienda. Chi pensa di risolverla elargendo benefit e chi la rimanda alla formazione. Ma quest’ultima, anche quando interviene sullo “sviluppo personale”, di fatto si limita a incrementare nuove competenze comportamentali, mentre la domanda punta più in alto e più a fondo: a un’esperienza che aiuti a riscoprire i propri valori e la propria mission, a ritrovare un significato nel lavoro.
Ed è qui che l’azienda può incontrare i dipendenti promuovendo il loro risveglio spirituale.
La spiritualità di cui si avverte la domanda non è legata a una particolare confessione religiosa: è piuttosto un sentimento universale che esprime un bisogno di trascendenza, di profonda connessione con tutte le cose, un senso di pace e calma, una sensazione di benessere interiore e di speranza. Se tutto questo non possiamo trovarlo all’esterno, dobbiamo necessariamente cercarlo dentro di noi. Non ci sono altre vie, né scorciatoie.
In “La salute del manager”, un libro ancora molto attuale pubblicato da Rizzoli-Etas, un team di psicologi americani sostiene che la salute dei dirigenti dipende da queste quattro forze motrici: il benessere fisico, psicologico, etico e spirituale. Solo quando tutte e quattro sono forti, e in equilibrio, si possono ottenere risultati eccellenti. Se in azienda i primi due sono abbastanza presidiati (il Rischio Stress Lavoro Correlato è ora anche oggetto di valutazione permanente) etica e spiritualità vengono spesso trascurati, e gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. Ecco allora che nuove parole, sino a ieri inimmaginabili nel dizionario manageriale, stanno prendendo piede: meditazione, visualizzazione, energia spirituale, mindfulness.
E il risveglio dello spirituale e non è più tabù, nemmeno per uno psicologo esperto di scienze cognitive come Howard Gardner. Il suo famoso modello delle “sei intelligenze” sta per metterne a frutto una settima: guarda caso, l’intelligenza spirituale.
In America la riscoperta del self-empowerment ha una tradizione consolidata nel movimento del Potenziale Umano. Ma oggi le filosofie orientali, con la loro tradizione millenaria, sembrano le più indicate a fornirci “la forza interiore” necessaria per gestire stress e incertezze, per dare un senso al nostro agire.
La crisi dell’Occidente è conseguenza di una filosofia di vita basata su una concezione egocentrata, competitiva e predatoria. Siamo diventati funzionari di un apparato tecnologico ipertrofico che, senza gli opportuni correttivi, ci porterà all’autodistruzione.
Abbiamo bisogno di allargare i nostri orizzonti, di vederci con gli occhi di altre culture, filosofie, psicologie. L’incontro con le filosofie asiatiche, basate su assunti diversi dai nostri, si sta mostrando particolarmente fecondo. La meditazione, le pratiche di consapevolezza, i lavori sul corpo e sul respiro aiutano a lasciar andare le principali fonti di stress: l’attaccamento ai desideri e ai risultati, l’attenzione agli oggetti anziché alle qualità delle relazioni, il dominio dell’avere, del possedere, dell’immagine rispetto all’essere.
Assistiamo a un’epidemia di stress, alla mancanza di invenzione e creatività. La società dell’efficienza diventa ogni giorno meno efficiente. La filosofia orientale lavora alle radici dello stress, insegna a vivere immersi nel qui e ora, in quello stato di flusso, senza conflitto, nel quale possiamo esprimere il massimo delle nostre potenzialità.
Così si migliorano le performance. Yoga, Zen, Tao sono gli approcci più diffusi. Meditazione e mindfulness, le tecniche più praticate.
Il principio che le accomuna: la convinzione che l’uomo abbia in sé un enorme potenziale di risorse da scoprire e realizzare. Ma c’è un ostacolo da superare: l’in-gabbiamento nel pensiero logico-razionale di noi occidentali che ci porta a irrigidirci nei nostri modelli mentali, a privilegiare una visione parcellizzata della realtà, chiusa in schemi rassicuranti di causa effetto lineare. Di conseguenza, la complessità, con i suoi paradossi e le sue discontinuità, ci spiazza.
L’approccio orientale, al contrario, essendo olistico, sposa la complessità abituandoci a convivere con l’incertezza e i paradossi. Quale migliore insegnamento in tempi come questi!
Le filosofie orientali riportano costantemente a una dimensione etica, insegnando a vedere i problemi come opportunità, anziché come un male da combattere. È questo il senso del motto taoista “Dominare le circostanze senza opporvisi”.
Che modello di leadership prospettano queste filosofie? I grandi maestri amano ripetere che il loro ruolo risiede nell’aiutare i discepoli a trovare il maestro dentro di loro. Compito del leader, dunque, è sviluppare nuovi leader, dando vita a un ciclo di crescita personale che renda la leadership una risorsa diffusa in azienda, anziché un dono per pochi.
Dalle filosofie orientali possiamo apprendere molto, ma il rischio è che ci si limiti ad adottarne le tecniche, senza comprenderne in pieno la filosofia, senza rileggerne gli insegnamenti alla luce del proprio credo e del proprio stile di vita, limitando l’apprendimento a un processo incrementale, anzi ché trasformazionale, a un saper fare senza un saper essere.
Quando questo accade lo Zen diventa un surrogato (come i valori che resta no appesi al muro dell’azienda), il cui effetto svanisce nel tempo, insieme all’illusione di un benessere duraturo a basso costo.
AA. VV., La salute del manager. Strategie per il benessere ed il successo dell’azienda, Rizzoli ETAS, Milano, 2010