Preferisci avere ragione o essere felice?

Marshall Rosemberg ha inventato e sviluppato la “Comunicazione non violenta”, uno strumento potente per negoziare e risolvere conflitti, educare i figli, sviluppare armonia nelle relazioni in famiglia, in coppia, nelle organizzazioni.

Per poter entrare in contatto con i sentimenti e i bisogni nostri o altrui, è necessario nutrire un contatto particolare con la vita, con noi stessi.

Nel nostro linguaggio parliamo spesso di simpatia (sympatheia, sentimento condiviso, letteralmente “patire insieme”, provare emozioni con…”).

L’essenza della simpatia consiste nel provare emozioni simili ad un’altra persona, emozioni come la gioia o la sofferenza). Empatia deriva invece dal empateia, a sua volta composta da “en: dentro”, e “pathos: sofferenza o sentimento”, che veniva usata per indicare il rapporto emozionale di partecipazione che legava l’autore-cantore al suo pubblico.

Era un fenomeno noto nell’antica grecia, il legame speciale che univa gli attori con il pubblico.

Buber descrive l’empatia come il dono più prezioso che un essere umano può fare ad un altro essere umano.

L’empatia è una forma molto speciale di presenza. Dare empatia significa esserci pienamente.

Significa fermare i pensieri, stare nel presente, nel qui ed ora. Tutto ciò che affiora dal passato e le aspettative verso il futuro bloccano l’empatia. Essere presente all’altro come ad un bambino appena nato che viene visto per la prima volta. Questo richiede un approccio che non può essere preparato in anticipo.

Un atteggiamento che ha più ha che fare con la meraviglia e con lo stupore infantile che non con la conoscenza, con il pensiero.

Un atteggiamento più simile allo stato di meditazione che di comprensione. È molto difficile reggere a lungo tale presenza senza pensare.

Quando ci accorgiamo che la mente inizia a mettersi in modo possiamo dirci con gentilezza “Respira e ritorna all’istante presente”. Il potere dell’empatia è enorme anche se è raro riuscire a stare con la persona in questo stato per molto tempo.

Empatia non significa comprendere l’altro intellettualmente o avere simpatia per lui (sapere che stai male mi fa sentire triste), non significa collegarmi ai miei sentimenti e alle mie emozioni, ma a quelli dell’altro. Se siamo coinvolti emotivamente vuol dire che abbiamo perso il contatto con l’altra persona. Possiamo respirare e tornare all’istante presente.

Quando diamo empatia non siamo interessati ai sentimenti o ai pensieri dell’altro. Se approviamo ciò che dice l’altro non siamo già più in empatia. Non occorre essere dello stesso parere per stare con l’altro. Per questo è così difficile ascoltare l’altro veramente, soprattutto quando è provocatorio e non la pensa come noi.

Questo vuol dire che anche in situazioni di conflitto non occorre essere dello stesso parere.

Inoltre è molto più facile entrare in empatia con persone che hanno il cuore aperto. Ma coloro che ce l’hanno chiuso?

Essere in empatia vuol dire portare l’attenzione all’energia divina che scorre nell’altra persona, su ciò che è vivo in lei (sentimenti e bisogni). Energia divina e vita sono sinonimi. Alfred Korzybisky afferma che “la mappa non è il territorio” indicandoci che il linguaggio è un impoverimento della realtà, della vita e quindi è fuorviante. Solo entrando in contatto con la sua anima, che è il flusso della vita che scorre in lui, i suoi sentimenti possiamo connetterci a livello profondo.

Per stare con la persona non è necessario ritornare alla sua infanzia, fare un tuffo nel passato. L’empatia si gioca nel qui ed ora. Molti pensano che per essere capiti sia importante raccontare la propria storia, ciò che è successo.

Dare empatia non vuol dire collegarsi alla storia delle persone, a ciò che è loro capitato, ma collegarsi a ciò che è vivo in loro in quel momento. Lo posso fare in silenzio.

“Inizio ad usare le parole quando sto per cadere dalla tavola da Surf. Con il surf ci si fa trasportare dalle onde del mare, dalla sua energia. Se non sono più sicuro di essere collegato con l’altra persona, all’energia che la attraversa (sentimenti e bisogni), allora dico all’altra persona quali sentimenti e bisogni sto sentendo in lei. L’altro così ha la possibilità di correggermi se prova sentimenti diversi e possiamo ristabilire la connessione”.

L’empatia ci aiuta a collegarci al nucleo profondo del sé, al di la delle proprie maschere, della versione della vita finora raccontata a se stessi e  agli altri.

Noi tutti tendiamo a raccontare storie. Empatia significa tradurre tutte le nostre storie, teorie e interpretazioni in sentimenti e bisogni: “Quando pensi a tuo padre ti senti…”.

L’empatia è una certa qualità della presenza. L’attenzione viene focalizzata sui sentimenti e bisogni dell’altro. Quando non sono più sicuro di esserlo formulo una domanda.

Se qualcuno si rende molto vulnerabile raccontandomi ciò che sta vivendo, può essere di sostegno confermagli che sono presente, ma niente di più. Sicuramente ci succederà di non indovinare (letture della mente) perfettamente ciò che l’altro desidera perché non siamo perfetti. Impariamo dai nostri errori, dai nostri limiti in quanto sono vere occasioni di crescita.

Empatia vuol dire seguire il flusso della vita che scorre nell’altro. Come nel surf fidarsi della tavola e del vento. Una seduta di empatia di 45 minuti produce cambiamenti e trasformazioni radicali. Anche Rogers diceva che l’ascolto vero è già di per sé terapeutico.

E come si fa esattamente? Si chiede alla persona l’origine del suo dolore e a quale persona è legata l’origine della sua sofferenza, del suo profondo conflitto interiore. Poi si dice alla persona “Dimmi ciò che è vivo in te in questo momento, io nel ruolo di quella persona ti ascolterò con empatia…”.

Il quel momento si diventa quella persona, il padre, la madre, etc.

L’esperienza di poter provare nel presente l’esperienza di essere visti produce il cambiamento. Non è un semplice gioco di ruolo. In quel momento “Io posso diventare quella persona”. Siamo tutti parte della medesima energia divina. In quel momento sono me stesso e l’altro. Questo è dare empatia. Le registrazione delle sedute di empatia lo dimostrano. Quando le persone rappresentate sentono la registrazione della seduta rimangono colpite.

Può essere utile inoltre utilizzare le parole dell’altro, entrare anche nella sua mappa del mondo. Ma non sono tanto i termini e le parole che curano quanto la qualità del legame e delle relazione che si instaura.

“Dove sono due o tre riuniti nel mio nome io sarò in mezzo a loro”. Queste parole di Gesù aiutano a comprendere che se riusciamo a collegarci all’energia divina che scorre attraverso di noi, le ferite guariranno più velocemente, anche se certe volte, di fronte a tanto dolore, sembra impossibile. Quando siamo collegati empaticamente l’energia divina, innondandoci ci guarisce. Non si tratta di credenza, ma di un’osservazione, di un’esperienza.

La meditazione, praticata nel modo in cui le varie tradizioni la intendono, è il modo più efficace per dare empatia a se stessi. Stare in meditazione significa lasciare emergere, al di la delle occupazioni quotidiane, ciò che è vivo in me qui e ora. “Dove due o tre sono uniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”, Mt 18,20

Marschall Rosemberg, Preferisci avere ragione o essere felice, Esserci, 2009.