Etty Hillesum e la spiritualità del ‘900.
Nata in una cittadina olandese nel 1914 e morta nel campo di concentramento di Auschwitz nel 1943 a soli 29 anni. Laureata in Giurisprudenza, stava prendendo la seconda laurea in Lingue e Letterature russe, era un’ebrea non praticante. Il suo diario e le sue lettere rappresentano una delle pagine più interessanti del Novecento. Il suo diario inizia il 9 marzo 1941 e termina nell’ottobre 1942.
Perché è importante dal punto di vista spirituale? Chi lo legge assiste ad una trasformazione sorprendente di questa giovane donna.
“Eppure la vita è meravigliosamente buona nella sua inesplicabile profondità” scrive, anche quando la situazione politica si sta aggravando e la vita è molto pesante, senza fiducia. Bellezza e bontà della vita sono i termini più adatti a rappresentare il pensiero e la spiritualità di Etty Hillesum. La malattia di cui soffre il mondo oggi è la sfiducia verso la mancanza di bellezza nei confronti della vita e Etty, nonostante sapesse che sarebbe stata condotta ad Auschwitz e quindi la fine che avrebbe fatto, parla continuamente di fiducia e di amore per la vita. Proprio la sua figura rappresenta oggi una possibilità di riscoperta della fiducia di cui il mondo ha bisogno. La malattia spirituale di cui soffre il mondo oggi si può chiamare “sindrome gnostica”, cioè una totale distanza tra il senso e la verità e il mondo concreto, la natura concreta, la storia concreta. L’agnosticismo è questa separazione della verità e dello spirito rispetto alla concretezza della storia e della natura.
Un grande antidoto è Etty Hillesum che proprio nel contesto più drammatico che la storia umana abbia vissuto, lei matura dentro di sé un sentimento di conciliazione con questa vita, con questa storia, con questa natura nutrendo un profondo amore. E’ lei che volontariamente decide di andare al campo di concentramento di Auschwitz come assistente sociale sapendo che, andare in quel luogo, significa rischiare la vita.
”Il sole splende sulla mia faccia e sotto i nostri occhi accade una strage. E’ tutto così incomprensibile”scrive Etty nel suo diario.
Noi, figli del Novecento, non possiamo più credere al senso della vita a buon prezzo; la tragedia che questo secolo ha rappresentato è tale da non farci credere più immediatamente che la vita, la natura, la storia abbiano un senso. Le epoche passate ci hanno consegnato una visione di questo tipo, una teologia della natura, una teologia della storia, e noi non possiamo più pensare a queste realtà come dotate di una dimensione teologica, di un progetto.
Il punto di partenza di Etty è il male nel mondo, lo scandalo del male e la sua lotta quotidiana per trovare un senso a tutto ciò. E’ nella natura, luogo che non esclude il male ma tende continuamente alla perfezione, che si incontra Dio. Per i credenti questo significa che la teologia della natura, la teologia della storia che per secoli sono stati alla base della visione cristiana del mondo, sono da riformulare. Occorre pensare che la natura ha un senso non perché imposto dall’alto ma perché dal basso ogni giorno faticosamente si crea.
“Forse ogni vita ha il suo senso e forse ci vuole una vita intera per trovarlo”, scrive Etty nel suo diario.
Non c’è un senso della vita che ci piove dall’alto, ogni vita è in un processo di darsi senso e questa è esattamente l’avventura spirituale. I figli del Novecento non possono più accettare un senso della vita elaborato da altri, ogni persona esamina gli aspetti della vita alla luce della propria esperienza. E il senso della vita c’è ed è quello che ognuno di noi si dà e passa attraverso il momento supremo e insostituibile della libertà.
L’amore per il mondo di cui parla Etty non è qualcosa di idilliaco; come lei ha ospitato dentro di sé la contraddizione della vita, ciascuno di noi può trovare mille motivi per cui la vita è meravigliosa e trovarne altrettanti per cui la vita è una tragedia nella consapevolezza di questa realtà. Si tratta di conoscere ogni frammento della verità anche se scomodo; la fede non può essere più un pretesto per chiudere gli occhi e non guardare in faccia la dura realtà della vita.
Le parole di Etty, di amore per la vita, a noi non risuonano false perché sono sempre accompagnate dalla consapevolezza del loro opposto, anzi, alcune parole nascono proprio dall’assurdo e dal male perché esiste il male. La forza di Etty sta nel vedere la bestia umana all’opera e nel non lasciarsi trascinare a quel livello, nell’essere lei una figura angelica. Rilancia, così, la fiducia verso la vita con un movimento contrario all’odio e questo è il significato della fede: fiducia nella vita e nella possibilità di generare il bene, la giustizia, l’amore.
“Ogni atomo di odio che si aggiunge al mondo, lo rende ancor più inospitale e credo anche che questa terra potrebbe ridiventare un po’ più abitabile solo grazie a quell’amore di cui l’ebreo Paolo scrisse agli abitanti di Corinto nella sua dodicesima lettera”
Da sottolineare che Etty Hillesum, come Simon Weil, era partita da posizioni assolutamente agnostiche e indifferenti rispetto al problema religioso, ma poco a poco comincia un dialogo sempre più intenso e intimo col mistero divino a tal punto da essere considerata oggi, a livello mondiale, una delle figure spirituali più alte del Novecento. Pur non essendo battezzata, viene considerata da molti cristiani come un’autentica guida, come da molti ebrei è ritenuta la quintessenza dell’ebraismo. Scriveva “non si può restare neanche un minuto senza preghiera”, cioè una disposizione dell’anima colma di Dio e della sua presenza, anche se si è soli in un monastero o in una corsia d’ospedale, o in un’aula scolastica.
Quindi, la preghiera non è più legata al verbo “dire” ma molto più legata al verbo “essere”. Per questo lei dice “Voglio essere un’unica, grande preghiera” . Non si tratta più di dire, di fare delle pratiche, ma semplicemente di Essere.
Vito Mancuso, tratto dal programma, Damasco, Il terzo Anello, di RAI radio 3