Elogio della depressione di Eugenio Borgna

Nell’occuparsi della depressione, Eugenio Borgna si muove lungo un’itinerario che ama e che gli è familiare, in questo piccolo saggio scritto insieme ad Aldo Bonomi nel 2011 e pubblicato da Einaudi, che quello della psichiatria fenomenologia, di quella che è stata definita da Minkowsky la “svolta emozionale della psichiatria”, che ha ridato anima e corpo alla psichiatria correggendo una visione rigidamente biologica e descrittiva orientata alla trionfalizzazione dei sintomi piuttosto che alla loro comprensione profonda, “alle esperienze vissute dalle quali i sintomi nascono e si articolano”, alla sofferenza e la felicità, all’angoscia e alla gioia, ai territori della nostalgia e della speranza.

Con Carl Jaspers la psichiatria ha cambiato radicalmente i punti di vista teorici sulla psicopatologia e sul modo di confrontarsi con i pazienti, di ascoltarli e di curarli. Non interessano tanto i comportamenti, quanto le esperienze psichiche interiori, “analizzate e descritte con la falce leggere dell’immedesimazione”.

La sofferenza, le passioni e le emozioni diventano fonti di esperienza e di conoscenza. Accogliendole imbocchiamo il cammino misterioso che porta verso la nostra interiorità, verso il destino della nostra esistenza.

Le emozioni nascono in noi immediatamente, sono incontrollabili e inafferrabili, si rivelano nella loro immediatezza e spontaneità, ci dicono quello che si sta muovendo nella nostra anima.

“E la ragione pura, la ragione calcolante che divide e separa, la ragione astratta e de-emozionalizzata è in grado di cogliere solo alcuni aspetti del reale. La ragione pura e senza mescolanza è fonte immediata e per sua natura di assoluta e necessaria pazzia”.

Non tutte le depressioni sono uguali ed è necessario comprenderle con un linguaggio che non si limiti alla classificazione nosografica, ma che ci consenta di intravedere, come dice Minkowsky in cosa consiste la struttura portante della sofferenza psichica, perché non dobbiamo mai dimenticarci, come dice Heidegger, che il linguaggio è la casa dell’essere. Il linguaggio della psichiatria e della psicoterapia deve essere un linguaggio che cura, che si adegua al linguaggio del paziente. Non un linguaggio freddo e glaciale che paralizza, ma un linguaggio caldo e poetico, che rifugge le definizioni e cerca le metafore, parole arcane e misteriose in grado di aprire al significato e alla speranza.

Esiste una depressione esistenziale nella quale ad un certo punto della vita la tristezza nasce fulminea nella nostra anima e inizia a dilagare nell’interiorità. Ci sentiamo svuotati da ogni interesse e iniziativa, non riusciamo più a ritrovare il senso della vita. Siamo risucchiati nel vortice del non senso, facciamo fatica a pensare e ad intravedere il futuro. Il tempo vissuto, quello soggettivo, il tempo della nostra anima che non ha nulla a che fare con il tempo cronologico, non fluisce più spontaneamente e limpidamente. La dimensione del futuro viene risucchiata nel passato venendo meno la dimensione della speranza la quale vive solo di futuro, di obiettivi e di senso. Assistiamo ad una distorsione della linea del tempo agostiniana di passato-presente-futuro nella quale i futuro collassa e i nostri pensieri, così come la nostra immaginazione, iniziano ad alimentarsi solamente del passato alimentati dalla tristezza.

“La tristezza esistenziale non è una tristezza patologica: non ha nulla a che fare con la depressione come malattia ma è un’esperienza della vita che non è estranea a ciascuno di noi: nella misura in cui riflettiamo sul senso delle cose che ci circondano e sul senso delle cose che svolgiamo, talora effimere e inutili, talora svuotate di dedizione agli altri e impregnate di egocentrismo e di aridità”.

Nella seconda parte della vita, quando si inizia ad intravedere il crepuscolo può nascere improvvisa l’intuizione e la consapevolezza della caducità e precarietà della vita, delle nostre azioni e speranze. Appaiono allora la tristezza e la melanconia che tolgono smalto alle cose, ma che permettono anche di recuperare altri valori e altre luci che prima non avvertivamo. Qui Eugenio Borgna cita Romano Guardini che afferma: “La malinconia è il prezzo della nascita dell’eterno nell’uomo […] Il vero significato della malinconia non si rivela se non attraverso lo spirito […]” riformulando il significato della malinconia come “l’inquietudine dell’uomo che avverte la vicinanza dell’infinito”.

Nella depressione esistenziale ha un grande senso l’ascolto psicoterapeutico, non necessariamente psichiatrico orientato a rivelare le radici psicologiche della tristezza. Per Eugenio Borgna solo una terapia ansiolitica, saltuariamente accompagnata da una farmacoterapia antidepressiva, si può giustificare in questi casi come una terapia di sostegno alla psicoterapia.

La depressione esistenziale fa parte della vita e può anche essere fonte di creatività e riflessione. Come ha scritto Kurt Schneider, uno dei grandi psichiatri del nostro tempo, dovremmo preoccuparci non di essere stati depressi una volta nella vita, ma di non esserlo stati mai !

La depressione motivata o reattiva è invece una risposta ad una situazione dolorosa, ad un trauma, ad un lutto che avviene nella nostra vita (la perdita di una persona cara, del lavoro, un cambiamento di casa obbligato, un tradimento). A differenza delle depressioni immotivate, le depressioni motivate sorgono e si strutturano su un evento che si presenta all’esterno e sono di solito reattive ad esso.

“Le depressioni reattive sono contrassegnate da una tristezza psichica che riemerge dal fondo della vita psichica e che si esprime in una accasciamento creaturale doloroso in un’amarezza sconsolata […] non hanno la profondità e la lacerante incandescenza delle depressioni psicotiche. Sono avvenimenti psichici, che si svolgono nella interiorità di ciascuno di noi, quelli che feriscono la condizione umana […]”.

Le depressioni reattive sono più frequenti delle depressioni non-motivate che Eugenio Borgna definisce psicotiche. Solitamente si attenuano e tendono a scomparire quando le cause che le hanno determinate esauriscono la loro influenza emozionale anche se possono permanere condizioni di vulnerabilità e instabilità

Nella depressione reattiva le modificazioni del tempo vissuto (l’esperienza soggettiva del tempo) che già si adombravano nella depressione esistenziale, si fanno più evidenti e profonde, anche se non si raggiunge mai una perdita radicale del futuro come nelle depressioni psicotiche. Il peso del passato si fa sentire inaridendo lo slancio vitale e la speranza, ma non si ha mai la completa cancellazione del futuro.

“Come dice Kurt Schneider, quando si è immersi in una depressione reattiva “è come se, nel fluire ininterrotto della vita, sia stato gettato un masso roccioso che blocca questo fluire. I pensieri sono risucchiati nel vortice di una sola idea, quella depressiva, che oscura e domina ogni altra idea e che toglie significato alla gioia: segnando ogni evento e ogni esperienza della vita con il sigillo della sofferenza, e frenando ogni realizzazione ogni attività”.

La depressione psicotica, che corrisponde nel DSM IV-R alla diagnosi di “Episodio Depressione Maggiore”, rappresenta un numero più ristretto di casi. Qui la inibizione ossia la perdita di ogni iniziativa dilaga fino a trasformare il paziente in una figura bloccata e completamente irrigidita, sia nel movimento (interessando anche le articolazioni) che nel pensiero. I pensieri si fanno lenti e ripetitivi, risucchiati nel vortice monotematico di colpe, timori di malattie e catastrofi economiche.

“Le modificazioni del tempo vissuto (del tempo interiore” […] si fanno qui frattura radicale e inemendabile […] La dimensione temporale del futuro, dell’avvenire è stralciata dall’orizzonte del tempo interiore: essa è bruciata nel deserto di un tempo (soggettivo) nel quale non sopravvive se non la dimensione del passato (di ciò che è già stato ed è già avvenuto) Non c’è più spazio per le ali della speranza che si esilia sempre più lasciando che l’esistenza psicotica si nasconda, e si smarrisca, nelle sue colpe (nel passato vissuto come colpa) e nella solitudine autistica.

Si osservano anche modificazioni vegetative e somatiche che si esprimono nell’insonnia, sensazioni di nausea, oppressione al capo, disturbi cardiaci e gastrointestinali che possono mascherare talora i fenomeni psichici.

“Il rifiuto della vita, e la scelta della morte volontaria, si possono delineare nella depressione psicotica. Questo rischio si ha soprattutto quando la depressione sta nascendo e quando sta esaurendosi, non quando essa ha la sua piena sintomatologia. In questo caso, infatti, la mancanza di iniziativa (la inibizione) impedisce che il desiderio della morte possa realizzarsi: ogni paziente si osserva (si vede) morire ma è inchiodato alla inerzia e all’impossibilità di agire”.

Tutte e tre le depressioni che Eugenio Borgna descrive, la depressione esistenziale, la depressione reattiva (motivata) e la depressione psicotica (depressione-malattia), hanno comuni radici antropologiche e fenomenologiche, come se un filo rosso le attraversi in una misteriosa tessitura.

“Non c’è depressione se non nel contesto di una grande sensibilità, e di una stremata fragilità che ci fanno cogliere le diverse immagini della vita: contrassegnata dalle luci della gioia e della speranza, ma anche dalle ombre del dolore e della sofferenza. La sensibilità, e la fragilità, sono anche la premessa a ogni conoscenza intuitiva degli altri da noi, alla comprensione delle emozioni, della tristezza e della inquietudine del cuore, della gioia e delle attese, delle angosce e delle speranze, che si animano nella interiorità, nella soggettività degli altri: di quelli, in particolare, che chiedono il nostro aiuto, talora nel silenzio e nella solitudine”.

E ancora con parole le parole folgoranti di Romano Guardini sulle emozioni che accompagnano la depressione, come la tristezza e la malinconia:

“Malinconia vuol dire connessione con l’oscuro fondo dell’essere – e ‘oscuro’, in questo accezione, non comporta senso peggiorativo. Non significa contrasto con la luce, la quale è bella e buona. Non significa ‘tenebra’, significa il vivo controvalore della luce. […] l’oscurità appartiene alla luce: tutte e due, riunite, costituiscono il mistero di ciò che è essenziale. Verso l’oscurità tende nostalgicamente la malinconia, ben sapendo che dal seno di lei sorgeranno innanzi le figure luminose del presente. […] Dall’essere malinconico sbocca e trabocca a fiotti la vita; a lui come a nessuno, è dato sperimentare la sfrenatezza dell’intera esistenza. Sempre credo io connessa con la bontà. Connessa con il desiderio che la vita si svolga secondo la bontà e la gentilezza, e sia benefica per gli altri”.

La depressione, ad uno sguardo più profondo, è un movimento psichico di introversione che ci permette di entrare in contatto con la nostra anima. Seguendo questo percorso con intuizione antropologica e fenomenologia il ripiegamento nostalgico della melanconia depressiva ci porta diritti alle radici archetipiche di sentimenti nobili e luminosi come la bontà e la gentilezza che ci permettono di spegnere ogni traccia di apatia, noncuranza, ghiacciata freddezza del cuore, distruttività per recuperare la solidarietà e l’umanità.

La vita è connotata da una sofferenza inevitabile, che testimonia la fragilità umana e che sembra sfuggire ad ogni comprensione e significato. È una sofferenza radicata della condizione umana, un dolore del cuore e dell’anima, che è costitutiva dell’umano…potremmo dire archetipica. Una sofferenza che “ha a che fare con gli abissi della nostra interiorità, e, in ogni caso, ci rende più sensibili e più aperti a intravedere, e a cogliere, gli orizzonti del senso della vita: le sue contraddizioni, le sue ferite e nonostante tutto le sue speranze. Ma nella sofferenza risplende, dolorosa e luminosa, e non sempre riconosciuta nei suoi folgori e nei suoi adombramenti, la indicibile connotazione della dignità umana […]”.

Eugenio Borgna, Elogio della depressione, Einaudi, Torino, 2011