Dietrich Bonhoeffer e la spiritualità del ’900.

Pastore protestante che venne ucciso la mattina del 9 aprile 1945 all’età di 39 anni dietro ordine personale di Hitler. Aveva lasciato cattedra, libri per entrare attivamente nella resistenza antinazista, per essere fedele al mondo e alla sua giustizia, per trasformare il mondo in un luogo giusto. Combatté incessantemente contro la discriminazione raziale.

Per lui, amore per Dio = amore per il mondo.

Durante i due anni che trascorse nella prigione di Berlino, scrisse molte lettere ai suoi genitori, alla fidanzata e, soprattutto, ad un caro amico che, ironia della sorte, era soldato nell’esercito nazista. In una di queste lettere dell’anno 1944, Bonhoeffer compie una svolta teologica decisiva, la cui portata non è ancora chiara nemmeno oggi. Egli ritiene decaduta l’immagine tradizionale di Dio, quella che per affermarsi necessita della debolezza umana, il Deus ex machina.

Io vorrei parlare di Dio non nei limiti ma al centro, non nella debolezza ma nella forza, non in relazione alla morte o colpa ma alla vita e nel bene dell’uomo. Dio non è il tappabuchi nei confronti delle incompletezze delle nostre conoscenze. Dobbiamo trovare Dio in ciò che conosciamo, … Dio deve essere conosciuto non ai limiti delle nostre possibilità ma al centro della vita. …

Gesù non ha fatto come prima cosa dell’uomo un peccatore, non ha mai messo in questione la felicità dell’uomo in quanto tale […] Gesù rivendica per sé e per il regno di Dio la vita umana tutta intera in tutte le sue manifestazioni.”

Ecco decaduta l’immagine tradizionale di Dio, gli uomini hanno imparato a cavarsela da sé. Occorre una nuova modalità di pensare il concetto di Dio: occorre superare il concetto di rivelazione come qualcosa di inaudito e di particolare, qualcosa che non è contenuto fin dalle origini. Quando Bonhoeffer dice che Gesù rivendica per sé la vita umana tutta intera significa vedere in Lui non qualcosa di nuovo ma di antichissimo, di eterno, di sempre presente nella vita umana. Questo è un concetto di rivelazione cristiana che capovolge la prospettiva: è uno svelare la logica profonda dell’essere uomo, è uno svelare ciò che è da sempre presente nella creazione e nella natura. C’è analogia tra Dio e la fonte dell’essere. Bonhoeffer ha una profonda fiducia nella natura che da sé è in grado di generare lo spirito.

L’anima non è un fenomeno che scende dall’alto ma sorge dal basso, dalla materia che produce ogni cosa. La lettera di Bonhoeffer al sole è un piccolo saggio di teologia universale, è un inno alla vita naturale, alla salute, alla forza, alla felicità naturale: la vita umana intera in tutte le sue manifestazioni. In questo modo si è a contatto col divino, non uscendo da se stessi, non abbandonando il nostro essere  a un pezzo di mondo. Questa prospettiva rappresenta un addio alla teologia del peccato originale, che designa la felicità naturale come una sciagura, la forza vitale come disperazione che fa dell’uomo naturale qualcosa di peccaminoso, bisognoso di redenzione e di essere salvato. Il dogma del peccato originale parla di colpa che grava sulla testa di ogni essere umano che viene sulla terra.

La natura in se stessa, nella sua dimensione animale, minerale, vegetale, è il luogo da cui nasce lo spirito.

Il manifesto della teologia universale è contenuto in un testo poetico dedicato a cristiani e pagani. Chi sono i pagani? Sono gli uomini di questo mondo secolarizzato e Dio va a tutti gli uomini e sono perdonati in quanto tali, non occorre che diventino cristiani. Oggi occorre eliminare, come necessaria alla salvezza, la pratica della religione normata dalla Chiesa. Dire questo oggi è qualcosa di rivoluzionario (come duemila anni fa era rivoluzionaria l’idea di eliminare la pratica della circoncisione). La questione di base per Bonhoeffer è il cristianesimo inconsapevole: il cristianesimo può rappresentare la salvezza per tutti gli uomini, ma se è inconsapevole, non può essere universale, quindi non può essere la verità.

Il 16 luglio 1944 Bonhoeffer scriveva che “essere cristiano non significa essere religioso, significa essere uomini”.

Gli uomini vanno a Dio nella loro tribolazione, piangono per aiuto, chiedono felicità e pane, salvezza dalla malattia, dalla colpa, dalla morte. Così fanno tutti, cristiani e pagani. Uomini vanno a Dio nella sua tribolazione; lo trovano oltraggiato, povero, senza tetto né pane. Lo vedono consunto dai peccati, debolezza e morte. I cristiani stanno vicini a Dio nella sua sofferenza. Dio va a tutti gli uomini nella loro tribolazione; sazia il corpo e l’anima del suo pane, muore in croce per cristiani e pagani e a questi e a quelli, perdona.”

Vito Mancuso, tratto dal programma, Damasco, Il terzo Anello, di RAI radio 3