Calipso. Gianluca Minella conversa con Laura Becatti

“…un’isola lontanissima all’Ovest e al Sud. Non è segnata in nessuna carta: i luoghi veri non lo sono mai.” (H.Melville, Moby Dick)

Gli Dèi e gli eroi della mitologia offrono ancora oggi una chiave di lettura per interpretare i fenomeni psicologici e sociali del nostro tempo, il mondo esterno e interno, nella loro naturale ed essenziale capacità di evocare riflessioni di una attualità sconcertante e talvolta anche brutale.

Come ci ricorda Joseph Campbell è come se gli antichi, nella loro esperienza di transito su questa terra, ci abbiano lasciato una mappatura dell’esperienza, “dell’esperienza di essere vivi” e questa trama è un mythologhéin, ossia una narrazione, una tessitura mitologica di modelli dell’esperienza interiore di chi ha viaggiato prima di noi.

L’isola di Ogigia non è la prima a cui approda Ulisse nel suo viaggio di ritorno, viaggio che potremmo considerare come viaggio nell’inconscio, durante il quale ha a che fare con mostri, cannibali, sirene etc, un mondo altro, arcaico.

Ma, mentre in ogni altro precedente approdo Ulisse era accompagnato da un equipaggio, e soprattutto era determinato, attivo, strategico, volitivo, ora, dopo che un fulmine colpisce la nave da lui comandata e che la manda in pezzi, rimane come unico superstite, i marinai dispersi e affogati.

Egli si aggrappa all’albero maestro del relitto e si lascia sballottare da onde e correnti, scampa miracolosamente alla morte e viene trascinato, quindi passivamente, fino all’isola di Calipso, spiaggiato, solo, inerme. Arriva, questa volta, davvero come Nessuno e senza nulla, neanche l’autodeterminazione.

Spiaggiato e senza progetti o strategie, questa volta è la regina di quell’isola, Calipso, colei che nasconde e si nasconde, che lo recupera e se ne prende cura in tutto. L’esperienza di isolamento, regressione, depressione e ritiro della libido che Ulisse fa sull’isola di Ogigia, è esperienza di tanti e non necessariamente patologica. A volte capita dopo un grande lutto o in seguito a una perdita di certezze oppure come tempo di incubazione prima di entrare in una nuova fase della vita quale processo inevitabile.

L’isola è isolamento dal mondo e insieme rifugio dal minaccioso mare dell’inconscio. È uno spazio limitato che ristabilisce il contatto con il limite e insieme permette di contemplare l’infinito del mare. Ogigia non si trova su alcuna mappa, è al centro e al confine insieme, dice Kerenyi.

Calipso è una dea antichissima e arcaica e conosce le profondità del mare e degli abissi. Sotto l’isola in cui ha scelto di vivere in solitudine, lontana dagli dei e dagli uomini, si sente il ribollire della sorgente delle acque da cui partono in quattro direzioni diverse le correnti. Non abita in un castello o palazzo, ma in una caverna. Tutto ciò fa pensare a una regressione che è contemporaneamente il ritorno rigenerante nel grembo materno.

La caverna è spesso presente nei miti dell’origine come in quelli di rinascita e iniziazione. Forse è a Ogigia, dove comincia la narrazione di Ulisse, che egli riesce ad assimilare i tesori emersi durante il viaggio nel mondo altro, l’inconscio e a fare degli eventi un’esperienza.

Trascinato dai flutti, quindi senza intenzionalità dell’Io, Ulisse trova un rifugio dalle richieste e pressioni del mondo e insieme una sorta di protezione dall’angoscia interiore di quando si fa i conti con il confronto con l’inconscio.

Intanto Calipso passa le giornate accanto a lui amandolo, ascoltandolo, nutrendolo, cantando e tessendo. Forse il canto e la tessitura è l’invito alla narrazione, connettendo, attraverso l’intreccio delle polarità; la trama e l’ordito, l’attivo e il passivo, la verità e l’inganno, la vita e la morte, la condensazione e la dissoluzione, sono uno in virtù dell’altro. Passa il tempo e Ulisse comincia a soffrire della perfezione immobile di quel luogo, del tempo che gira su se stesso e non è tempo e, quella risorsa arcaica e regressiva ritrovata comincia a diventare mortifera, qualcosa che lo trattiene invischiato dal ritornare alla vita sua.

Egli non cede mai all’ambrosia offerta da Calipso e che lo renderebbe immortale e per sempre giovane. Egli sa che una vita migliore della sua non può esistere, semplicemente perché non sarebbe la sua vita.

È l’intervento degli dei che convincerà Calipso a lasciar partire Ulisse verso il suo destino; l’entrata e l’uscita da quella dimensione di regressione e isolamento non dipendono da un atto di volontà di Ulisse, da un atto della coscienza, ma nascono proprio là dove l’Io non sa intervenire, è opera degli dei, lavoro sotterrano, inconscio, che richiede il “giusto” tempo quale ingrediente alchemico per la trasformazione. Quando arriva il momento dei saluti Calipso è avvolta da un velo, come spesso fa. Jung dice che è importante che non tutto venga svelato, che permanga la percezione di cose sconosciute, perché solo attraverso la consapevolezza del mistero la vita è completa.

Laura Becatti, psicologa e psicoterapeuta junghiana

Gianluca Minella, psicologo e psicoterapeuta junghiano